Sembra tornata la stagione dell’unità sindacale. Anzi, continuando nella metafora metereologica e dando credito ad una vulgata molto diffusa e cioè che le mezze stagioni non ci sono più, siamo addirittura nella stagione del sindacato unico. Non ci giro intorno e dico subito che mi pare una di quelle proposte che servono solo a dare un quarto d’ora di notorietà a chi le fa.
Sulla questione dell’unità sindacale si sono scritte migliaia di pagine e altrettante migliaia di parole si sono dette e allora atteniamoci ai fatti. Ricordate che fine ha fatto la federazione Cgil Cisl Uil? Ricordate la fine che ha fatto la Flm? Qui per inciso andrebbe ricordato che Fim e Uilm fecero persino i congressi di scioglimento per poter costituire il nuovo, grande sindacato unitario dei metalmeccanici. La Fiom no. Oltretutto, visti i tempi che corrono, il problema non è quello o solo quello, di un unico grande sindacato, ma di un sindacato che risponda alle sfide della tecnologia e della globalizzazione. Ancora con la tecnologia e la globalizzazione? Sì, ancora! O forse qualcuno non si è ancora accorto che i soldi non dormono mai (film di Oliver Stone) e che sono algoritmi che muovono investimenti e fondi?
Dunque, la vera novità, sarebbe quella di un sindacato che abbia il coraggio di una più incisiva e mirata (anche competitiva tra loro!) rappresentanza verso i lavoratori esposti al mercato, cioè che allarghi il più possibile la contrattazione aziendali e che sappia, fatti saldi i principi, adattare le tutele e l’organizzazione del lavoro: con un occhio ben aperto a quello che succede fuori dai cancelli della fabbrica – magari a Singapore o New Delhi – …vogliono fare il sindacato unico e siamo ancora al no Tav, no Tap, no, no…