Alcuni mesi fa, ovvero nel novembre del 2018, la Federazionenazionale della stampa italiana, assieme ad altre organizzazioni, promosse una serie di manifestazioni davanti alle Prefetture di diverse città italiane, all’insegna dello slogan “Basta attacchi ai giornalisti”. Pochi giorni prima di quel 13 novembre, infatti, il Vicepresidente del Consiglio, il pentastellato Luigi Di Maio, si era prodotto in un attacco generalizzato contro i giornalisti, accusati di non essere sufficientemente oggettivi nel modo in cui svolgono il loro lavoro.
Intervenendo al flash mob che, in quella occasione, si svolse a Roma in piazza Santi Apostoli, il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, parlò di “avvisi ritorsivi”, ovvero delle minacce, lanciate in quei giorni da ambienti governativi, di cancellare sia l’Ordine dei giornalisti che le provvidenze per l’editoria.
Tra gli oratori di quel flash mob, oltre allo stesso Lorusso, a Giuseppe Giulietti, presidente della stessa Fnsi, e a Carlo Verna, presidente dell’Ordine dei giornalisti, c’era un sindacalista proveniente dal mondo dell’industria, ovvero Paolo Pirani, segretario generale della Uiltec, la federazione dei lavoratori tessili, chimici e dell’energia aderente alla Uil.
Ora che una serie di vertenze, tra cui quella di Radio Radicale, ha riportato davanti agli occhi dell’opinione pubblica la questione della libertà di informazione, a partire dai problemi dell’editoria giornalistica considerata nel suo rapporto con i poteri pubblici, abbiamo chiesto a Pirani cosa aveva portato un sindacalista come lui – abituato alle vertenze industriali prima fra i metalmeccanici e poi fra chimici, tessili ed elettrici – a prendere la parola nel corso di un’iniziativa promossa dal sindacato dei giornalisti.
C’è stato un tempo in cui il sindacato si occupava più spesso di adesso dei problemi dell’informazione. Ricordo che quando ero attivo nel sindacato dei metalmeccanici della Uil,la Uilm- fra la seconda metà degli anni 70 e la prima metà degli anni 80 -, ho partecipato a diverse iniziative sul tema della libertà di stampa. Iniziative in cui discutevamo di come i giornali e la televisione davano le notizie e di come mettevano o non mettevano al centro dei loro servizi i temi del lavoro.
All’epoca, nel sindacato una grande attenzione sui temi dell’informazione che poi, nel corso degli anni, è andata scemando. Io, però, sono tutt’ora convinto dell’idea che vi sia un rapporto molto diretto fra la libertà di stampa e la libertà sindacale. Per organizzazioni come le nostre, sono fondamentali la difesa della libertà di parola, della libertà di opinione e, direi, di quelli che sono i cardini della nostra Costituzione. Allo stesso modo, nel momento in cui qualcuno vuole conculcare la libertà di stampa, di espressione, di parola, penso che sia bene che il sindacato scenda in campo. Quindi, per me la scelta di intervenire a sostegno dei giornalisti scesi in piazza per respingere qualsiasi intimidazione è stata del tutto naturale.
Dopo l’episodio di novembre, soprattutto per iniziativa del Movimento 5 Stelle, il Governo è passato dalle parole ai fatti. Da un lato, nel marzo di quest’anno, ha avviato i cosiddetti stati generali dell’informazione, un percorso a tappe che dovrebbe concludersi in settembre con specifiche proposte di riforma del settore dell’editoria giornalistica. Dall’altro, però, già nella legge di Bilancio per il 2019 sono state prese concrete misure, tra cui il taglio della convenzione tra il Ministero dello Sviluppo Economico e Radio Radicale, che dovrebbe portare a breve, ovvero a far data dal 21 maggio, alla cessazione delle trasmissioni di quest’ultima. Oltre a ciò, è stato anche previsto il taglio progressivo delle provvidenze per l’editoria che dovrebbe portare alla loro estinzione alla fine del 2021. Cosa pensa di questa situazione?
In questa domanda vedo due temi diversi e credo, quindi, che sia opportuno distinguere fra l’uno e l’altro.
Il primo tema è quello relativo ai problemi più generali dell’informazione come si pongono oggi. Qui c’è, innanzitutto, una rivoluzione tecnologica che sta cambiando i paradigmi sia del modo di fare informazione che di quello di informarsi. Ed è bene dire subito che quello di cui stiamo parlando è un fenomeno che non riguarda solo l’Italia ma ha, anzi, una dimensione mondiale. Si tratta, aggiungo, di un fenomeno che sta cambiando radicalmente la professione giornalistica per come l’abbiamo conosciuta. C’è un precariato diffuso, ci sono processi di riorganizzazione e ristrutturazione che stanno portando alla chiusura di redazioni locali o di intere testate. La crisi dell’agenzia Askanews e l’annunciata chiusura della redazione romana del Giornale sono solo gli ultimi casi di una serie di vicende che si susseguono. Ebbene, la riflessione su tali vicende non può limitarsi a una presa d’atto di quali siano le leggi del mercato. Né credo sia possibile accettare una logica in qualche modo punitiva nei confronti di chi non dovesse adeguarsi ai pensieri dominanti. Per noi, semmai, la logica deve essere quella che punta ad applicarela Costituzione.
Quindi, a mio modo di vedere, lo Stato dovrebbe essere direttamente interessato a creare le condizioni affinché questa libertà di espressione possa tradursi in concreto, garantendo la continuazione delle testate già attive e gestendo le trasformazioni tecnologiche in atto.
E per ciò che riguarda più specificamente la questione più urgente, ovvero quella di Radio Radicale?
Ecco, qui arriviamo al secondo tema, che è appunto quello di Radio Radicale. Il fatto è che Radio Radicale non è solo una radio privata. È uno strumento che appartiene, io credo, alla nostra Repubblica. Così come il Partito Radicale. Possiamo discutere su tante cose che dicono e affermano, e tuttavia c’è bisogno di loro, c’è bisogno della loro voce. Allo stesso modo, c’è bisogno di uno strumento facilmente accessibile a tutti i cittadini che racconti quello che accade, quelle che sono le vicende della nostra Repubblica, della vita politica e della vita economica, senza paraocchi e in totale libertà.
Ebbene, Radio Radicale è stata ed è questo e deve poter continuare a fare le sue trasmissioni. E il Governo, secondo me, è responsabile in solido della sopravvivenza di questa radio. Che, lo sottolineo, è sì un’emittente privata, ma non è un’emittente commerciale.
In un paese in cui non si è riusciti a fare la riforma della radio-televisione pubblica, che è sempre più oggetto di mercimoni politici, e in una fase in cui si assiste a un degrado diffuso delle trasmissioni televisive, credo che mantenere voci libere e serie come quella di Radio Radicale sia un dovere civile.
Ecco perché sostengo che occorre evitare che la storia di Radio Radicale finisca nel prossimo mese di maggio. Questa emittente deve avere la possibilità di restare aperta e di proseguire con la sua utilissima attività.
C’è un fatto singolare su cui vorrei richiamare la Sua attenzione. Quando il MoVimento 5 Stelle si presentò alle elezioni politiche del 2013, quello che era all’epoca il suo leader di punta, e cioè Beppe Grillo, disse che l’arrivo dei deputati del movimento avrebbe consentito di aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno. Quasi a voler far capire che il Parlamento stesso fosse un luogo buio e pieno di misteri, tale da dover essere scoperchiato. Ebbene, Radio Radicale è proprio il mezzo di informazione che, in base alla convenzione col Ministero dello Sviluppo Economico, trasmette almeno il 60% delle sedute di Camera e Senato, mettendo qualsiasi cittadino nella condizione di poter facilmente seguire – in diretta o in differita – ciò che viene appunto detto in aula o nelle Commissioni. Eppure, il MoVimento 5 Stelle è, tra le forze di Governo, quella che – attraverso una serie di scritti e dichiarazioni – sembra più accanirsi contro la stessa Radio Radicale. Non Le sembra che questa sia una gigantesca contraddizione?
Secondo me, l’idea di informazione che hanno questi signori è relativa a una situazione in cui, per avere l’informazione stessa, occorre iscriversi a una piattaforma digitale. Un nome a caso? La piattaforma Rousseau. Una situazione, insomma, in cui ci sia chi possa avere un controllo sulla comunicazione e, quindi, su quello che arriva al pubblico. Cosa che viene perseguita attraverso un uso attento e strategico dei social media.
Le fake news, ormai, assumono una rilevanza sempre più importante nella formazione dell’opinione pubblica. In questo contesto, dà sicuramente fastidio un tipo di informazione che, come quella offerta da Radio Radicale, è diretta e non mediata da piattaforme, da strumenti social, e non è quindi addomesticabile, ma riporta quello che effettivamente avviene all’interno del cosiddetto palazzo.
Quindi, cosa si può fare?
Vorrei ricordare che, nell’atto costitutivo della Fnsi,la Federazionenazionale della stampa, ovvero proprio nel momento in cui veniva realizzato il sindacato unitario dei giornalisti, si prevedeva che quest’ultimo avesse come riferimento anche le Confederazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil.
Quella scelta, fatta allora, non fu frutto del caso. E io penso che vada rilanciata con forza questa idea di un’unione tra il mondo dell’informazione e il mondo del lavoro. E quindi, saremo presenti e sempre di più vogliamo essere presenti a tutte le battaglie dell’informazione.
Nel momento in cui la politica ha tolto dalla sua agenda il tema lavoro e in cui il lavoro viene sempre più svalorizzato, ci auguriamo che ci siano voci libere che raccontino la realtà per quella che è e non per come viene rappresentata dalla piattaforma Rousseau.
@Fernando_Liuzzi