di Paolo Pirani, segretario confederale della Uil
“L’arbitrato è uno strumento educatore di tanto superiore ai rozzi arnesi fin qui immaginati da conservatori e da rivoluzionari per risolvere le questioni del lavoro”. Sono parole di Filippo Turati. Del tutto condivisibili, perchè l’idea dell’arbitrato nasce dal rifiuto della contrapposizione tra chi considera il diritto del lavoro una sorta di totem immobile e inderogabile e chi vede nella regolazione del rapporto di lavoro un totem da abbattere.
E’ da questo principio laico che bisogna partire se si vuole affrontare positivamente la questione del disegno di legge delega sul lavoro che tante, e spesso strumentali, polemiche ha suscitato in questi giorni.
Il provvedimento, per come è nato e si è sviluppato, ha le caratteristiche di un coacervo di norme, alcune condivisibili e altre decisamente meno. Anche per questo motivo, apprezziamo la posizione espressa, da quei giuslavoristi anche di diverso orientamento circa la necessità di preservare, in queste materie, l’autonomia delle parti sociali. Va fatta prevalere, insomma, la regolazione contrattuale rispetto alle norme di legge; un principio riconosciuto, in realtà, dallo stesso disegno in discussione. Noi, infatti, vogliamo puntare ad un avviso comune in forza del quale devono essere i contratti collettivi a regolamentare le modalità concrete di accesso agli strumenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie di lavoro e, in particolare, l’ambito di operatività e gli effetti dell’arbitrato.
Occorre trovare il giusto equilibrio tra norme di legge e azione contrattuale. E la dichiarazione congiunta sottoscritta al Ministero del Lavoro va decisamente in questa direzione. Non vorremmo che nell’esaltazione delle contraddizioni sparisse il significato e il valore dell’arbitrato che, in altri Paesi europei, trova applicazione con piena soddisfazione dei diretti interessati.
Peraltro, non va dimenticato che il canale giurisdizionale è molto ingolfato e i diritti dei lavoratori, così, vengono, di fatto, negati. L’accesso all’arbitrato consentirebbe di tutelare bene e subito i lavoratori avendo comunque a riferimento sia i principi dell’ordinamento sia le stesse norme giuridiche che vanno poste esplicitamente alla base della pretesa con cui si invoca il lodo. E’ altrettanto del tutto evidente che debbano essere escluse dalla decisione arbitrale i diritti derivanti da disposizioni inderogabili di legge o dei contratti collettivi. Così come è acclarato che l’arbitrato non ha nulla a che vedere con i licenziamenti né esso può essere imposto al momento dell’assunzione.
Un dato per tutti può chiarire meglio di ogni altra considerazione l’utilità del ricorso allo strumento dell’arbitrato. Oggi, la stragrande maggioranza delle cause di lavoro riguarda la materia retributiva e dell’inquadramento. Tutte questioni regolate dai contratti e che proprio i destinatari di quegli stessi contratti potrebbero chiedere di veder risolte, liberamente e concordemente, da un lodo arbitrale. Insomma, non è il caso di avere paura di se stessi! A maggior garanzia, infine, si potrebbe decidere che, nella fase sperimentale, l’arbitrato si applichi solo ai rapporti di lavoro subordinato. Si configurerebbe così anche una sorta di incentivo ad applicare questa modalità di assunzione che, talvolta, tende ad essere sistematicamente elusa a vantaggio di soluzioni di accesso al lavoro molto meno garantiste per i diritti e le tutele dei lavoratori.