L’accordo del 28 giugno regge allo tsunami della crisi, ma il pericolo è che la manovra non basti, che presto ne serva un’altra. Per questo Paolo PIrani, segretario confederale della Uil, pensa che le forze sociali dovrebbero tornare a riunirsi e trovare un’intesa tra di loro su alcune indispensabili riforme di fondo e costituire così una base sociale di riferimento per lo schieramento politico che si faccia avanti per realizzarle.
Pirani, il 28 giugno avete firmato l’accordo interconfederale su rappresentanza e contrattazione, poi c’è stata la manovra e infine la decisione della Cgil di andare da sola allo sciopero generale. All’ombra di tutto ciò, l’intesa regge ancora?
Quell’accordo è stato un atto molto importante. A mio avviso regge tuttora, mi auguro anzi che avvenga al più presto la firma definitiva da parte di tutte le organizzazioni.
Qualche firma è in dubbio?
Proprio no. Formulavo solo un auspicio. Soprattutto perché l’intesa rappresenta un vero punto di riferimento per l’autonomia delle parti sociali nei loro percorsi contrattuali. Non mi pare che l’articolo 8 del decreto di agosto comprometta l’applicazione dell’accordo, una volta chiarito, come noi abbiamo chiesto, che la titolarità è dei soggetti firmatari dei contratti nazionali. Anzi, forse quelle disposizioni possono rafforzare la portata dell’accordo.
I rapporti tra Cisl e Uil da una parte, Cgil dall’altra si sono però quanto meno raffreddati.
Non parlerei di raffreddamento. Mi sembra soprattutto che stiamo assistendo a un dialogo tra sordi.
Non vi capite?
La cosa che più mi è dispiaciuta è stato che nel momento in cui le parti sociali ave vano deciso di definire una prima indicazione di obiettivi da presentare al governo in rapporto alla manovra, ai primi di agosto, non ci sia stata la capacità di tornare a riunirsi e definire un pacchetto forte di modifiche delle indicazioni che si stavano formalizzando.
Cosa è mancato?
Siamo stati troppo deboli e incerti noi nel concordare la riconvocazione del tavolo delle parti sociali. La nostra voce è stata troppo flebile. Ma c’è stata anche la scelta della Cgil di procedere invece in direzione di una mobilitazione generale e di presentare una loro proposta, non elaborata assieme a noi.
Non siete stati coinvolti?
C’è stato solo l’invio formale di una cosiddetta lettera aperta a Cisl e Uil per costruire assieme un percorso di mobilitazione. La Cgil ha preferito una scelta identitaria, ritenendo forse che le parti sociali non fossero in grado di elaborare una proposta unitaria.
Si può recuperare l’unità?
L’unità presuppone una convergenza. Qui non si tratta di rinnovare un contratto, ma mostrare la capacità di elaborare una risposta alla crisi, dell’entità della crisi stessa. E questa risposta, per essere credibile, deve essere fatta di scelte di fondo condivise tra tutte le parti sociali.
Non si può fare adesso?
Ma la manovra è ormai delineata.
Il giudizio della Cgil sulle decisioni del governo è molto drastico. Pensate anche voi le stesse cose?
Per come la si conosce oggi la manovra rischia di essere troppo debole. Più che sulla riduzione della spesa e dei costi che la generano, sembra basata su imposizioni prive di un disegno strategico
Misure raffazzonate?
Sì, purtroppo sì. E le modifiche confermano questa impressione, specie con l’ultima rasoiata alle solite pensioni di anzianità.
Una défaillance forte del governo.
La verità è che la politica non è stata finora in grado di dare risposte all’altezza dei problemi posti dalla crisi. Non perché mancassero le idee, che anzi molti si sono dilettati nel delinearne, ma perché sono entrati in crisi i blocchi sociali di riferimento e di consenso elettorale delle forze politiche, dei diversi schieramenti. E così è stato un girare a vuoto. E i pochi riformisti, pure presenti sia nella maggioranza che nell’opposizione, alla fine non sono determinanti nelle scelte di fondo.
Che può succedere?
Che ci si trovi nella necessità di nuove e amarissime prove.
Che gli schieramenti attuali non sarebbero in grado di fronteggiare?
Il pericolo è questo. Ed è questo il motivo per cui penso che debba essere costituito un nuovo blocco sociale di riferimento per il governo del paese. Le forze sociali potrebbero svolgere una funzione determinante riattivando il tavolo di agosto e indicando con chiarezza gli obiettivi necessari per la riforma del fisco, una sostanziale riduzione del perimetro dello stato, reali processi di liberalizzazione, riorganizzazione del welfare, aprendo a una reale prospettiva di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.
Le parti sociali sono in grado di farlo?
Se vogliamo continuare a sperare nel futuro del nostro paese, dobbiamo farlo. Non sarà indifferente se questa sfida si svolgerà all’interno di una scelta europea di portata analoga a quella che fu fatta dalla Germania di Kohl al momento del crollo del muro di Berlino. O se ci troveremo in un contesto di ripiegamento sugli stati nazionali.
Gli italiani capirebbero?
Gli italiani hanno dato le migliori prove di loro stessi quando sembrava che tutto fosse perduto. Risparmieremmo loro nuovi danni se riuscissimo ad avere questa consapevolezza prima di trovarci sull’orlo del baratro.
Massimo Mascini