Con la firma del contratto dei tessili si conclude, di fatto, la stagione contrattuale dell’industria. E si chiude senza che Confindustria sia riuscita a mettere nero su bianco con Cgil, Cisl e Uil un modello comune a cui attenersi. Ogni categoria ha proceduto per proprio conto, e, c’e’ da dirlo, con ottimi risultati: tutti soddisfatti, imprese, sindacati di categoria e lavoratori. Paolo Pirani, segretario generale della Uiltec, reduce dalla lunga stretta finale della trattativa per il rinnovo dei tessili, ne trae una conclusione immediata: “la riforma del modello contrattuale a questo punto non ha più senso. L’abbiamo gia’ fatto da soli’’.
Cosa intende dire? Che la trattativa interconfederale andrebbe chiusa?
Bisogna prendere atto che questa partita, che si e’ svolta in modo discontinuo, a cavallo tra due presidenze, Squinzi e Boccia, non ha più senso di essere. Per due motivi. Il primo e’ che Confindustria si e’ dimostrata incapace di formalizzare una propria proposta. A differenza di quanto accaduto con le altre controparti: artigiani, commercio, piccole imprese, hanno infatti elaborato le loro proposte, le hanno discusse con i sindacati, e hanno sottoscritto alla fine un accordo su un modello di riferimento. Il secondo motivo e’ che dopo la firma del contratto del tessili restano solo un paio di partite aperte, i calzaturieri e una parte degli edili, ma il ciclo contrattuale si e’ sostanzialmente concluso. E si e’ concluso fissando anche alcuni importanti punti cardine: la centralità del contratto nazionale, i due livelli di contrattazione, la copertura del potere d’acquisto. Inoltre, sono stati anche individuati criteri e soluzioni sulla produttività, e innovazioni sui sistemi di welfare, che, come nei casi di meccanici e tessili, attraverso i contratti sono diventati universali per tutta la categoria. Quindi, si puo’ dire che le parti hanno dimostrato che possono rinnovare i contratti in modo adeguato anche senza un accordo interconfederale: mettendo cosi’ a nudo la Confindustria e la sua incapacità, in questi due anni, di arrivare a una sintesi.
Dunque non serve piu’ un modello guida valido per tutti?
Il modello e’ gia delineato dagli stessi contratti, ed e’ un modello flessibile. I chimici e i tessili, per dire, hanno messo nel contratto la verifica successiva dell’inflazione; nel contratto dei settori energetici, oltre a coprire l’inflazione, si riconoscono anche 20 euro di produttività che poi torna sui minimi nel contratto successivo; i meccanici, hanno individuato un altro modello ancora. Ciascun modello contrattuale, insomma, e’ basato sulla specificità delle diverse categorie.
Nello specifico, il vostro contratto, rispetto ad altri, ha ottenuto un consistente aumento in ‘’soldi veri’’.
Esatto: dei 90 euro di aumenti previsti, 70 sono soldi freschi che vanno in busta paga. Poi ci sono 12 euro sulla sanita’ integrativa, il che vuol dire consentire a mezzo milione di persone di avere un sostegno in piu’ sulla salute, e altri 8 euro per la previdenza integrativa. Inoltre, abbiamo inserito altre voci che rappresentano un segno diciamo di ‘’civilta’’’: come i permessi per le adozioni internazionali, o la formazione.
Pero’ arrivarci e’ stata dura: ci avete messo molto tempo, e pure un paio di scioperi.
Le imprese avevano l’idea che il contratto confliggesse con la produttività. Poi, dopo due scioperi, molto ben riusciti, e il blocco degli straordinari, hanno capito che conveniva recuperare la coesione sociale. Del resto, se c’e’ da rilanciare il made in Italy, difficile farlo in un clima conflittuale. Inoltre, erano vent’anni che il settore non scioperava, e c’era un desiderio dei lavoratori di tornare a contare, che noi abbiamo colto. Ne e’ uscito un contratto dignitoso, che conclude degnamente la stagione dei contratti dell’industria.
Quindi, secondo lei, a questo punto non c’e’ altro di cui discutere a livello interconfederale con gli industriali?
Ll’unica discussione che si potrebbe fare e’ sulle politica salariale attiva, per incentivare la domanda.
In che senso?
Le imprese sostengono che la ricchezza si distribuisce dopo averla prodotta, ma questo concetto va rovesciato: la produttività cresce se aumentano i salari e quindi la domanda, e di conseguenza i consumi, creando così nuova ricchezza. I salari fermi, invece, bloccano i consumi, e i consumi bloccati fanno fallire le imprese, le rendono fragili, disincentivano gli investimenti .Dunque, penso sarebbe utile aprire questo fronte, avviare una discussione per far si’ che la nostra impresa non si limiti solo a discutere degli incentivi per Industry 4,0, ma anche di una capacita’ di rinnovamento attraverso una politica salariale proattiva.
Sinceramente, la vedo dura.
Non c‘e’ dubbio. Ma questa sarebbe una discussione innovativa e utile, se si vuole parlare di crescita economica.
Ma ci sono gli interlocutori per una discussione cosi’?
Tra gli industriali, direi di no. A livello europeo, però, e’ di questo si parla. In Germania si e’ aperto questo dibattito, e diversi economisti italiani sostengono questa tesi. Leonello Tronti, per esempio, ha evidenziato piu’ volte che i salari fermi bloccano anche la crescita dell’economia.
Altri temi da affrontare, oltre ai salari?
Credo che si dovrebbe aprire col il governo un confronto sulla politica industriale, a partire dalle politiche energetiche. C’e’ da affrontare tutto il tema dell’efficienza energetica, che si e’ riproposto con forza, come abbiamo visto, dopo gli eventi di gennaio-febbraio legati alle emergenze meteo, come abbiamo visto: interi paesi per giorni e giorni senza energia. E’ un terreno di confronto? Secondo me, si.
Quindi, niente più riforma del sistema contrattuale?
Glie l’ho detto: la riforma e’ fatta. Non serve altro.