I sindacati del settore chimico farmaceutico hanno annunciano l’anticipazione delle piattaforme di categoria per il rinnovo del contratto, in scadenza il prossimo 31dicembre. L’ accelerazione è dovuta allo scarto tra inflazione reale e prevista che, di fatto, potrebbe comportare un rinnovo ad “aumento zero”, mettendo così in discussione lo stesso istituto del contratto nazionale. Il Diario del Lavoro ha chiesto al segretario generale della Uiltec, Paolo Pirani, di spiegare quali sono le strategie che il sindacato ha intenzione di mettere in atto per superare l’impasse.
Pirani, quali sono i principali problemi emersi dall’incontro dello scorso 12 gennaio fra i sindacati e le parti imprenditoriali?
L’incontro, conclusosi con un nulla di fatto, ha fatto emergere un dato critico derivante dal calo dell’inflazione che si è verificato da due anni a questa parte. Federchimica e Farmindustria, in particolare, hanno rilevato che lo scarto fra l’inflazione prevista e quella reale è stata, nel biennio 2013-2014, di 34 euro. Per quanto riguarda il 2015 hanno poi previsto che lo scarto salirà fino a 79 euro.
Con quali conseguenze sul rinnovo?
I dati sull’inflazione rischiano di squilibrare tutto il meccanismo salariale e di inasprire le trattative, dato che si partirà da un credito, da parte delle aziende e nei confronti dei lavoratori, che potrebbe arrivare appunto a 79 euro.
Certo in assenza di un aumento salariale è improbabile che si possa rinnovare il contratto. E dunque, come intendete procedere?
Il modello precedente, quello che abbiamo applicato nel 2009, è scaduto, quindi ora bisogna pensare a soluzioni diverse, che puntino soprattutto al mantenimento di politiche salariali che siano, al tempo stesso, proattive, propulsive e produttive.
In altre parole?
Innanzitutto, il costo salariale del contratto non deve legarsi solo al costo del lavoro, ma anche al rapporto fra salario di produttività e crescita del Pil; una crescita che, del resto, la stessa Confindustria prevede nei propri scenari. Poi c’è il problema della complementarità fra primo e secondo livello di contrattazione, rispetto al quale dovremo capire quali temi della contrattazione nazionale rimandare a quella aziendale e quali no. Infine, bisogna tener conto dell’ipotesi di introduzione del salario minimo per legge: noi pensiamo che sia giusto fissare come valore minimo “universale”, cioè valido per tutti i tipi di contratto lavorativo, il minimo tabellare previsto dal contratto.
Ma queste decisioni verranno prese a livello di categoria o invece da Confidustria, Cgil, Cisl e Uil?
Non mi risulta che Confindustria e le confederate abbiano preso decisioni, se non quella di costituire un comitato sindacale. Certo è che, in un modo o nell’altro si dovrà definire il nuovo modello contrattuale da sostituire a quello ormai scaduto. L’unica cosa che temiamo è che si punti a far slittare i contratti, perciò ci stiamo muovendo per definire criteri e piattaforme.
Oltre a quelli puramente salariali, quali sono i temi che la piattaforma intende affrontare?
In primis ci saranno da affrontare i temi del welfare contrattuale, relativi alla previdenza e alla sanità integrativa. Ma soprattutto cercheremo di puntare sul sistema bilaterale della formazione, cioè sulle modalità di reintegro dei lavoratori previa riqualifica professionale.
In conclusione, secondo lei, quante possibilità ci sono di arrivare al rinnovo del contratto?
Per noi l’ipotesi di rinunciare non è contemplata: il contratto nazionale ha un valore insostituibile. Quindi ce la metteremo tutta per riuscire a tutelare, nonostante lo scenario economico avverso, i diritti e i salari dei lavoratori.
Fabiana Palombo