Il diario del lavoro ha intervistato il segretario generale della Uiltec, Paolo Pirani, per fare il punto della situazione sui vari settori come la chimica, il tessile ed energia. Pirani ha sottolineato come il governo non abbia ascoltato le parti sociali e ha spiegato quali sono, secondo il sindacato, i problemi di fondo del Recovery Plan. Inoltre, per il segretario il piano energetico non prevede una effettiva transizione energetica verso fonti rinnovabili, ma si ferma a idee di principio, legate più a suggestioni ideologiche che a concreti obbiettivi industriali.
Pirani, qual è la situazione odierna dei vari settori della vostra categoria?
La crisi pandemica ha colpito in maniera differenziata i diversi settori della nostra categoria. Alcuni hanno mantenuto un sostanziale livello di sviluppo, a partire dal settore farmaceutico e in parte alcuni settori della chimica, anche se hanno risentito della crisi della chimica di base. Inoltre abbiamo registrato un andamento sostanzialmente stabile nel settore dei servizi pubblici. Le problematiche più pesanti dal punto di vista produttivo e del tessuto occupazionale sono legate al settore manifatturiero, in particolare nella Moda e nel Made in Italy. Ciò nonostante abbiamo mantenuto una dinamica contrattuale che ci ha portato a rinnovare una serie di contratti e ad aprire tutti i tavoli contrattuali. Il risultato più recente è stato il rinnovo del contratto della ceramica. Abbiamo anche firmato il contratto della gomma plastica, occhialeria, lavanderie industriali e una altra serie di contratti. Sono ancora da chiudere le trattative per alcuni settori, come la Concia, Pelli e Cuoio, il settore Calzature e soprattutto il settore Tessile.
Dal punto di vista occupazionale il sistema regge in gran parte dal blocco dei licenziamenti e dalla cassa integrazione Covid, ma a marzo scadrà il blocco. Una proroga sarà necessaria?
Si, riteniamo che non ci siano le condizioni per la fine di questo blocco e chiediamo la proroga almeno per tutto il periodo dell’emergenza pandemica. Altrimenti in questi settori rischiereremo di trovarci con la perdita di migliaia di posti di lavoro senza che si siano ancora determinate le condizioni per percorsi utili degli ammortizzatori sociali. Va sottolineato positivamente come il governo abbia dato il via libera al Fondo contrattuale “Tris” che avevamo individuato nel settore della Chimica, che dovrà gestire processi di ricambio generazionale. Bisogna che questa esperienza venga estesa ad altri settori. Inoltre, è necessario avere da un lato una riforma degli ammortizzatori sociali che sia in grado di reggere l’impatto della crisi, dall’altro riprendere il tavolo di confronto sulla riforma pensionistica, perché rischiamo di ritrovarci con la riforma Fornero e quindi di avere una cesura netta sulla possibilità di andare in pensione rispetto ai processi di ristrutturazione che inevitabilmente ci troveremo ad affrontare.
In questo periodo, con il Governo in crisi, immagino vi è più difficile portare avanti dei ragionamenti con la politica
Non è esatto, in fondo con il Governo non c’è stato proprio un grande dialogo. Ho sentito il discorso del premier Giuseppe Conte, dove ha fatto una grande apertura ai sindacati però, come dire, il confronto non c’è stato. Come non c’è stato un confronto sul Recovery Plan. Noi vediamo, per quanto riguarda i nostri settori, il grosso buco che c’è sulle politiche industriali in questo Recovery Plan, che è assolutamente insufficiente.
Quali sono i problemi del Recovery Plan?
Il problema è che il Recovery Plan indica alcuni obbiettivi, ma non indica gli effetti di questi obbiettivi, ad esempio quelli occupazionali, e soprattutto non indica e finanzia il percorso per arrivare a certi obbiettivi. Questo problema si vede nella politica industriale della green economy, dove il Piano punta molto su una misura importante come il Superbonus ma non è una misura di prospettiva; indica l’idrogeno verde, ma sarà economicamente e produttivamente sostenibile nel 2040. Intanto non si può chiudere, come qualcuno afferma, tutta l’industria energetica petrolifera.
Qual è il suo giudizio sul piano energetico previsto dal Recovery Found?
Ci sono questi buchi nei ragionamenti industriali e dell’energia che devono essere colmati, altrimenti ci troveremo nel paradosso che il Recovery Plan, invece che essere volano dell’occupazione, porterà una perdita di posti di lavoro e un aumento dei costi energetici di questo Paese. Ad esempio, c’era un progetto di uso del gas e ricattura della Co2, che permetteva proprio una transizione energetica, grazie all’impianto di Ravenna, che era una alternativa concreta al blocco delle trivelle. Però questo progetto non viene più finanziato e indicato nel Recovery Plan. Altro esempio, non c’è scritto nulla per gestire quello che succederà nel settore energetico siciliano, in particolare nel polo industriale di Siracusa e Ragusa. Quindi l’idea dell’economia circolare deve tradursi in progetti, e nel Piano non vengono indicati. Insomma, il Piano manca di piano. Tra l’altro, questi stessi progetti erano stati presentati al Governo in occasione degli Stati Generali. Esiste questa distanza tra un enunciato, che spesso risente di suggestioni ideologiche, e la concretezza delle politiche industriali, che devono essere affrontate recuperando uno spirito di concertazione tra impresa, sindacato e Istituzione.
Come pensa si possa affrontare la transizione energetica?
Il piano energetico difetta su cosa significhi una transizione energetica, che è appunto una transizione. Siccome bisogna mantenere il livello di produzione elettrica, a meno che non si compri tutta dall’estero aumentando però i costi di energia, per produrla si deve decidere sul come si produce. L’idrogeno verde, per essere verde, deve essere alimentato da fonti alternative, quindi si dovrebbe riempire l’Italia di pannelli fotovoltaici, ma sappiamo quanto è difficile impegnare il territorio, insomma è un processo lungo. Ecco perché noi diciamo di utilizzare nel frattempo il gas, che estraiamo noi, senza comprarlo dall’estero. Se invece si impedisce di raccogliere il gas, la transizione è improbabile. Per esempio la Germania, che ha il più grande parco di energie alternative d’Europa, usa ancora il carbone come combustibile di transizione.
Sull’acciaio verde qual è la vostra posizione?
Per carità, va bene come idea, ma intanto bisogna avere prima un piano concreto per quanto riguarda l’acciaio di oggi.
Insomma, niente discussioni e nel Piano non sono presenti i progetti per raggiungere gli obbiettivi.
Esatto, c’è un problema anche di governance, non solo di politica industriale, ma anche di come si vuole governare questo processo.
Eppure sembra che, seppur minimo, ci siamo state in passato aperture verso il sindacato.
Non c’è mai stato un incontro. La bozza del Recovery Plan ci è stata inviata solo qualche giorno fa.
Neanche un informale e amichevole scambio di opinioni per vedere en passant insieme a voi come si poteva costruire il Recovery Plan?
Nulla. Sulle nostre realtà industriali abbiamo chiesto più volte di confrontarci ed essere ascoltati sulle politiche energetiche, come sul piano dell’idrogeno. Abbiamo chiesto un confronto sia da soli come sindacato che insieme a Confindustria Energia e mai siamo stati convocati dal Ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli.
Quindi nella massima “il Governo ascolta ma poi decide” è mancata la prima parte?
Si, decide ma non ascolta.
Emanuele Ghiani