L’incapacità di essere l’altro. Di guardare il mondo con i suoi occhi, di indossare la sua pelle, di provare i suoi sentimenti, di pensare con i suoi pensieri, di sognare con i suoi sogni. Immedesimarsi. Uscire dai confini della propria esistenza per entrare in altre vite. Conoscenza, consapevolezza, condivisione. L’umanità come un unico magma nel quale le singole identità sono in realtà connesse ed abbracciate tra di loro in un continuo scambio di emozioni e di esperienze.
E invece, no. Rinserrati nel nostro io, esasperiamo un’individualità sospettosa, impaurita, aggressiva, invidiosa. Per impulso reagiamo sempre a difesa di quel che siamo e di quel che stiamo facendo in un dato momento, senza mai pensare che potremmo trovarci nella posizione opposta. E quando questo accade, reagiamo con la stessa ottusa sicumera, dimenticandoci l’interscambiabilità dei ruoli. Basti pensare a quel che accade nel traffico. Esemplare, in tal senso, un vecchio cartone animato di Walt Disney con protagonista Pippo. Sì, proprio lui, il buon Goofy. In una delle sue strampalate ma lucide avventure è alternativamente pedone e automobilista, in una continua lotta, immemore e spietata. Quando attraversa le strisce, lo fa con irritante lentezza, anzi si nasconde per poi scendere di corsa dal marciapiede spaventando il se stesso che è al volante e costringendolo a una brusca frenata. E quando guida, al contrario, sembra un cacciatore alla ricerca della selvaggina a due gambe, che è sempre il suo alter ego.
Una palese schizofrenia, che riguarda tutti. L’intolleranza e l’incomprensione sono figlie dell’ottusità e dell’ignoranza. Perché non pensiamo mai come ci comporteremmo noi bianchi se avessimo la pelle nera? Perché i genitori dimenticano di essere stati figli e gli insegnanti di essere stati alunni? Perché i cristiani non entrano nelle moschee e i mussulmani nelle chiese? Viviamo in tempi calamitosi, paralizzati dalle nostre egotiche paure. E allora tornano in mente i versi, dalle molte varianti, compresa quella resa famosa da Bertolt Brecht, che emergono come un fiume carsico per ammonire a non spegnere le coscienze: “Prima vennero a prendere gli zingari, e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Poi vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”. Le tenebre della ragione fanno presto a calere.