Senza pace, l’acciaieria di Piombino. E, al momento, senza chiare prospettive di ripresa, nonostante che, ormai da tre anni, l’acciaieria stessa sia stata rilevata dal gruppo Jindal, uno dei colossi della siderurgia indiana e, quindi, mondiale.
Senza chiare prospettive di ripresa? Un giudizio, certo, sconfortante. Ma è questo ciò che si ricava da quanto hanno dichiarato ieri i sindacati dei metalmeccanici al termine dell’incontro che hanno avuto, in videoconferenza, col Ministero dello Sviluppo Economico – rappresentato dalla Viceministra Alessandra Todde -, nonché con altri soggetti istituzionali e aziendali: Ministero del Lavoro, Regione Toscana, Comune di Piombino, l’ormai immancabile Invitalia e, ovviamente, la stessa Jindal. Rappresentata dal Vicepresidente della sua branca italiana, Marco Carrai.
Senza pace, abbiamo detto, l’acciaieria di Piombino. Con un presente fatto di una prolungata fermata produttiva, un futuro incerto e un passato glorioso, anche se variamente contrastato. Perché a Piombino l’acciaio è di casa fin da quando, nel lontano 1865, proprio nell’entroterra del porto toscano fu insediata la Magona d’Italia, uno dei primi stabilimenti siderurgici moderni del nostro Paese.
Da allora ad oggi, lunga è stata la storia della siderurgia piombinese, articolata su due stabilimenti: la Magona, appunto, e la grande acciaieria costruita successivamente più vicino al mare. Lunga e segnata da molteplici e successivi cambiamenti negli assetti societari e nelle prospettive strategiche.
Dalla fine dell’800, quando nasce come Altiforni e Fonderia di Piombino, lo stabilimento siderurgico conosce una prima fase di sviluppo. Fase non priva di successivi passaggi di proprietà e di crisi societarie, ma lungo la quale l’acciaieria conquista un ruolo di polo d’avanguardia, particolarmente vocato per la fabbricazione delle rotaie. Un prodotto essenziale, allora, ovvero in una fase di grande sviluppo delle “strade ferrate”. Ma tutt’ora attualissimo. Anzi, dotato di una nuova attualità, in una fase in cui l’Unione Europea spinge le economie dei Paesi membri a coniugare innovazione e ambientalismo. E in cui, quindi, la “cura del ferro” dovrebbe servire a ridurre il trasporto su gomma, maggiormente inquinante.
Ma torniamo alla storia. In Italia, la Grande Crisi del ‘29 porta, nel 1933, alla fondazione dell’Iri, l’Istituto per la Ricostruzione industriale. Inizia qui quella che possiamo considerare come la seconda fase della vicenda dell’acciaio a Piombino. Nel 1936, infatti, lo stabilimento toscano entra nell’orbita dell’Iri, ovvero passa sotto la mano pubblica. E trova così, per una decina d’anni, un ruolo più stabile.
Nel ‘44 l’esercito nazista occupa e distrugge lo stabilimento. Che, dopo la guerra, rinascerà a nuova vita, sempre nell’ambito dell’Iri, come una delle piazzeforti attorno a cui si svilupperà la siderurgia pubblica, così come previsto dal famoso piano concepito da Oscar Sinigaglia. Sono gli anni della ricostruzione postbellica, quelli lungo i quali l’Italia acquista la fisionomia di un grande paese industriale.
Tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, la parabola dell’Iri giunge al suo tramonto e, con essa, finisce anche la storia dell’acciaio di Stato. Inizia così la terza fase della vicenda di Piombino. Nel 1992, il gruppo siderurgico bresciano Lucchini si affaccia sulle rive del Tirreno, entrando nella proprietà di una nuova società cui viene conferita l’acciaieria di Piombino. Nel 1995, il gruppo presieduto dal cavaliere Luigi Lucchini diventa proprietario in toto dell’acciaieria. Ma Lucchini, nel tentativo di allargare i suo orizzonti oltre la natia Brescia, verso una nuova dimensione europea, fa il passo più lungo della gamba. Le cose, quindi, non procedono bene. E così, nel 2005, in un mondo segnato da una globalizzazione sempre più accelerata, l’acciaieria di Piombino viene rilevata dal gruppo russo Severstal, guidato dal neo-miliardario Alexey Mordashov.
I russi, però, durano meno di Lucchini e nel 2012 l’azienda viene posta in amministrazione straordinaria. Dopo un paio d’anni di incertezze, accade l’imprevisto: a Piombino arriva la Cevital, la più grande azienda privata algerina guidata da Issad Rebrab. Nel 2015, Cevital perfeziona l’acquisto dell’acciaieria, dandole un nuovo nome: quella che tutti ormai chiamavano ex-Lucchini, diventa Aferpi (Acciaierie e ferriere di Piombino).
Purtroppo, però, neanche questo progetto fa molta strada. Gli algerini se ne vanno, e, nel 2018, arrivano gli indiani di Jindal South West che acquistano lo stabilimento per mezzo della società da loro costituita nel nostro Paese: JSW Steel Italy.
E qui siamo ai giorni nostri. Ovvero all’incontro di ieri. Incontro che ha preso le mosse da un precedente appuntamento, risalente al dicembre 2020, ovvero alle ultime settimane di vita del Governo Conte bis.
In tale occasione, da un lato, Jindal si era mostrata intenzionata a portare avanti piani produttivi di un certo rilievo, mentre, dall’altro, si era parlato della disponibilità di Invitalia a entrare nel capitale di JSW Steel Italy, e quindi anche ad assumersi le conseguenti responsabilità nella conduzione aziendale.
Propositi apprezzati, allora, dai sindacati. Purtroppo però, a quanto pare, tali propositi non hanno avuto seguito. Di qui la delusione dei sindacati. “A cinque mesi dall’ultimo incontro – hanno dichiarato Silvia Spera (Area Politiche Industriali della Cgil) e Gianni Venturi (Segreteria nazionale della Fiom-Cgil) – non solo non ci sono soluzioni ravvicinate per quanto riguarda l’ingresso di capitali pubblici e i relativi assetti societari”, ma si deve registrare “un significativo ridimensionamento degli orizzonti industriali”, nonché degli impegni volti a “dare a Piombino una funzione strategica nella siderurgia italiana”.
Spera e Venturi hanno poi specificato che “se dovesse essere confermato un dimensionamento degli impianti e, in particolare, di un forno elettrico con una capacità produttiva di 800.000 tonnellate/anno, sarebbe non solo impensabile di riassorbire i 1.800 lavoratori attualmente in forza a JSW, ma sarebbe definitivamente persa per il sito toscano l’opportunità di agganciare la risalita del mercato”.
Per la Uilm-Uil, Guglielmo Gambardella (coordinatore nazionale siderurgia) e Vincenzo Renda (coordinatore Uilm Toscana) hanno a loro volta diffuso una dichiarazione così intitolata: “Se Jindal non decide, il Governo prenda una decisione per dare un futuro alla ex Lucchini”. Specificando che “solo un intervento pieno e deciso del Governo, con tutti gli strumenti necessari, con tutti gli attori istituzionali nazionali e locali interessati”, nonché con “l’auspicabile contributo del sistema siderurgico italiano nella realizzazione del progetto di rilancio della siderurgia piombinese”, può “dare un futuro all’intero tessuto industriale della Val Cornia”.
Quanto alla Fim-Cisl, il segretario nazionale Valerio D’Alò ha detto di ritenere “inaccettabile” che “una vertenza così importante per il Paese continui a vivere nell’incertezza, con i tempi che continuano a dilatarsi senza che ci siano sul tavolo soluzioni certe”. E ha chiesto quindi al Governo “rapidità”, affermando che è necessario che il Governo stesso “riprenda in mano la vertenza con un ruolo da protagonista nella gestione dei vari passaggi”.
Al termine della videoconferenza, la Viceministra Todde ha detto che intende riconvocare il tavolo sull’acciaieria di Piombino per i primi di giugno.
@Fernando_Liuzzi