Una sentenza passata in giudicato “fa stato” ovvero stabilisce una “verità giuridica” su di un determinato fatto sottoposto all’esame di una Corte di giustizia. E’ un interesse dell’ordinamento, delle parti e della società che si arrivi ad un giudizio definitivo che tuttavia non è infallibile, ma può essere soggetto, sulla base di motivazioni ritenute meritevoli di approfondimento, di riesame. E’ quanto ha richiesto il collegio di difesa di Ottaviano Del Turco fornendo nuovi elementi ritenuti utili ad una revisione del processo che lo ha condannato a tre anni e undici mesi di reclusione. Nel corso dei diversi gradi processuali le accuse dei pm sono cadute una dopo l’altra a partire dalle più gravi: corruzione, concussione, truffa, falso e associazione a delinquere, In primo grado Del Turco fu condannato a nove anni e sei mesi. In secondo grado sono caduti 21 episodi di dazione su 26, e la pena è stata più che dimezzata: quattro anni. La Cassazione, infine, ha ridotto a tre anni e undici mesi la reclusione, l’interdizione dai pubblici uffici da perpetua a 5 anni, mentre ha cancellato l’associazione per delinquere. L’ex presidente della Regione Abruzzo è stato ritenuto colpevole di “induzione indebita a dare o promettere utilità”, un reato introdotto dalla legge Severino nel 2012 per punire la concussione (il pubblico ufficiale che chiede la tangente) anche quando non c’è minaccia o violenza. Chi scrive ha trovato nella vicenda di Ottaviano un motivo in più per aver votato contro, da deputato, a quella legge (la vera vergogna del governo Monti). E’ sufficiente, infatti, consultare un po’ di giurisprudenza a proposito di questo reato per rendersi conto delle sottigliezze giuridiche a cui ricorre il diritto penale che ormai è entrato a far parte – come un “diritto assoluto” – della vita di ciascuno di noi. Scrive, infatti, in una sentenza la Suprema Corte di Cassazione: “La induzione, richiesta per la realizzazione del delitto previsto dall’art. 319 quater cod. pen. (così come introdotto dall’art. 1, comma 75 della legge n. 190 del 2012), necessita di una pressione psichica posta in essere dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio che si caratterizza, a differenza della costrizione, che integra il delitto di concussione di cui all’art. 317 cod. pen., per la conservazione, da parte del destinatario di essa, di un significativo margine di autodeterminazione o perché la pretesa gli è stata rivolta con un’aggressione più tenue o in maniera solo suggestiva ovvero perché egli è interessato a soddisfare la pretesa del pubblico ufficiale, per conseguire un indebito beneficio”. In sostanza siamo al caso del ladro gentiluomo, che non alza la voce, ma si limita ad alludere, parlando di mele anziché di milioni. Ma non è questo il caso di Ottaviano. E soprattutto non si spiegherebbe l’assoluzione dal reato di truffa, visto che le generose dazioni del suo accusatore non avrebbero sortito alcun effetto, perché la Giunta non si rimangiò mai le misure di regolarizzazione (moralizzazione) assunte nei rapporti della sanità pubblica e quella privata in Abruzzo, recuperando alle casse pubbliche significative risorse. Viene da sé poi un’altra domanda: se la sola fattispecie di reato attribuita a Del Turco è stata introdotta nell’ordinamento giuridico nel 2012, come può essere applicata in modo retroattivo a fatti e ad azioni risalenti ad anni trascorsi quando la nuova norma non era ancora in vigore? Sappiamo che nei giorni scorsi l’Ufficio di Presidenza del Senato – in applicazione di una delibera del 2015, fortemente voluta dall’allora presidente Pietro Grasso (poi, se non erro, recepita anche dalla Camera) a Del Turco è stato sospeso il vitalizio, proprio in conseguenza di una condanna passata in giudicato superiore a due anni di reclusione. E’ in questi casi che ci accorgiamo di quanto sia stato e sia vile il giustizialismo (non solo quello accattone pentastellato d’antan) che tiene la scena per tanti anni. Perché nel caso di Del Turco si è colpita, privandola delle risorse per vivere, una persona gravemente malata, incapace di compiere senza assistenza le più necessarie ed elementari funzioni della vita quotidiana, non più “padrone di se stesso”. Persino la delibera Fico sul ricalcolo dei vitalizi degli ex parlamentari aveva tenuto conto delle condizioni delle persone sottoposte alla manomissione del loro tenore di vita. Per fortuna, grazie anche al direttore de Il Riformista e ad alcuni amici che sono sempre rimasti vicini a Del Turco, la brutale delibera ha suscitato proteste e indignazione. Anche alcuni autorevoli parlamentari del Pd (il partito che annovera Ottaviano Del Turco tra i fondatori) hanno chiesto con fermezza una revisione di quella decisione dell’Ufficio di Presidenza, tanto sciagurata nei suoi effetti. Nel testo approvato nel 2015 c’è evidentemente una lacuna: la mancanza di quella pietas che dovrebbe sempre essere presente nei confronti dei casi umani. Se si vuole, non è necessario fare un’eccezione per Ottaviano: è sufficiente che l’Ufficio di Presidenza integri la delibera Grasso con una norma in cui si preveda di tenere conto di situazioni come quelle di Del Turco. Tutto ciò premesso, alla stregua di Madama Butterfly io mi sarei atteso di vedere “un fil di fumo” uscire dal Palazzo rosa-salmone di Corso d’Italia. Ottaviano è entrato in Cgil all’inizio del 1969 come funzionario della Fiom e ne uscito nel 1993 come segretario generale aggiunto (nell’ordine di Luciano Lama, di Antonio Pizzinato e di Bruno Trentin). Successivamente, è stato segretario del Psi (antagonista di Bettino Craxi), parlamentare, ministro, eletto al Parlamento europeo, prima di strappare al centro destra il governo della regione Abruzzo. Capisco che sono trascorsi molti anni e che gli appartenenti all’attuale gruppo dirigente confederale non abbiano conosciuto Ottaviano come è stato possibile al sottoscritto. Ma quelli della sua generazione non sono tutti defunti; molti sono ancora attivi in vari ruoli – magari defilati – della Confederazione e sono in grado di rendere testimonianza di cosa ha rappresentato Del Turco come persona e come dirigente di del sindacato. Va bene, è andata come è andata; e nessuno di voi, compagni della Cgil, se la sente di violare la sacralità della magistratura persino in una vicenda dove l’inconsistenza dell’accusa si vede ad occhio nudo. Ricordate il caso di Enzo Tortora? Ci fu forse qualcuno in buona fede che si convinse che il noto presentatore fosse un trafficante di droga, nonostante le accuse delle procure e le sentenze dei Tribunali? Ci sono delle verità che non hanno bisogno di essere dimostrate. Lo sapete anche voi. Perciò ritengo giusto e doveroso che, per Ottaviano Del Turco, l’organizzazione a cui ha dedicato gran parte della vita, con onore, impegno, amore ed onestà, non gli rifiuti un segnale di quella solidarietà umana che gli è dovuta, come a chiunque nelle sue condizioni.
Giuliano Cazzola