Che l’accordo per il salvataggio della Pernigotti (accordo storico, secondo l’allora titolare del Ministero dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio), mostrasse qualche, diciamo, debolezza era chiaro sin da subito, ma che saltasse per aria a meno di due mesi dalla firma era francamente difficile prevederlo.
Per comprensione di tutti è necessario un passo indietro per ricordare che la proprietà dello storico marchio del made in Italy, ė turca; proprietà che manifestando pubblicamente il proprio interesse solo per il marchio e non per la produzione, di fatto ha aperto la crisi Pernigotti. Tuoni, fulmini e saette del Ministro Di Maio. I marchi italiani vanno tutelati, mai e poi mai perderemo un posto di lavoro, fu il suo grido di battaglia per arrivare allo “storico accordo”. Accordo che di fatto si risolve con uno “spezzatino”: il marchio Pernigotti (immaginate il valore di un marchio del Made in Italy alimentare nato nel 1860) rimane in mano turca e separato dalla produzione, a sua volta rilevata da due distinte società. Questo, pur in presenza di pubbliche manifestazioni d’interesse di aziende italiane del settore che garantivano sia il marchio che l’unitarietà dell’azienda. Già in quei giorni sulla stampa si mettevano le mani avanti e qualcuno dei protagonisti dell’intesa chiariva che senza un non ben precisato intervento pubblico, ci sarebbero stati rischi per il futuro dell’ accordo stesso. Come puntualmente è finita. Oggi,come si legge da alcune ricostruzioni giornalistiche, tra veti incrociati e ripicche tra le aziende protagoniste ( la turca Toskoz per il marchio, la torinese Spes per il comparto cioccolato e torrone e Emendatori per quello del gelato) rimandano in alto mare la soluzione della vertenza.
Che, appunto, non poteva considerarsi chiusa con lo “storico accordo”.
Adesso la speranza di salvare il marchio e i lavoratori della Pernigotti, è nelle mani di quelle aziende italiane che si erano fatte avanti per acquisire marchio e produzione (non ultima la Sperlari di Cremona) . Certo a condizione di trovare un interlocuzione politica degna di questo nome che le rimetta in gioco. Poi se la vedranno gli amministratori delegati e il mercato.
Valerio Gironi