Nell’intervento del Presidente Draghi alla recente assemblea di Confindustria molti hanno notato un passaggio, peraltro non scritto, nel testo che leggeva, sulle Relazioni Industriali e sulla responsabilità, di queste, nel bloccare una dinamica di sviluppo economico che l’Italia aveva intrapreso già alla fine degli anni ’50.
Più di qualche commentatore, tra cui il Direttore di questa rivista, hanno espresso critiche, seppur garbate, a quel tipo di analisi, rivendicando, io dico giustamente, i meriti del sistema delle Relazioni Industriali degli anni ’70 in termini anche di modernizzazione delle relazioni sociali e del livello di democrazia del nostro Paese.
Tuttavia continua a echeggiare l’accusa, pesante, di “aver rotto il giocattolo”, accusa rivolta alla evoluzione del sistema di relazioni industriali post-miracolo economico.
È proprio così? Oppure, come io penso e cercherò di dimostrare, “Quel giocattolo” si è rotto perché “doveva” rompersi, e il vero problema è che nessuno ne aveva progettato uno nuovo, più aderente alle diverse sfide di un mercato, mercato caratterizzato da scarsità di materie prime, a prezzi bassi, e da competizione sempre più globale.
Provo a spiegarmi: il dopoguerra in Italia, vede l’affermarsi di una elevata inflazione con un elevato debito pubblico, la perdita di valore della moneta sembra inarrestabile, la scelta del governo De Gasperi di affidare la politica economica a Luigi Einaudi, comporta un periodo di forte restrizione del credito e della circolazione della moneta, scelta che stabilizza il corso della lira, riporta sotto controllo l’inflazione, ma inevitabilmente penalizza le retribuzioni, che restano per diversi anni a livelli molto contenuti. Si ricordi che i metalmeccanici, anzi i metallurgici come si usava dire, non rinnoveranno il proprio contratto nazionale fino al 1956, quello successivo del 1959 sarà un rinnovo di routine.
Questa scelta di politica economica (unitamente ai soldi del “piano Marshall- ERP-) consentirà all’Italia di godere di un periodo di forte sviluppo del PIL e di bassa inflazione e basso costo del lavoro…Poteva durare?
Il giocattolo era questo!. Quando nel 1962 l’Intersind sottoscrisse il famoso “preambolo” sulla contrattazione aziendale nonostante la feroce opposizione di Confindustria, il “giocattolo” già non poteva più funzionare.
Tuttavia, nessuno avviò una seria riflessione sul sistema delle Relazioni industriali e soprattutto sul suo ruolo nella evoluzione del “sistema Paese”.
A questo si aggiunga una progressiva “distorsione” della struttura economica dell’Italia che porterà Giulio Andreotti a dire, non certo con dispiacere, anzi! Che “l’Italia era il paese socialista più libero del mondo” e non aveva torto; più del 50% della struttura produttiva e di quella finanziaria era in mano alle Partecipazioni Statali. Non era anche quello una componente del “giocattolo”? Con buona pace di una cultura della “concorrenza di mercato”.
Erano gli anni in cui in Germania il partito SPD, a Bad-Godesberg nel 1959, abbandonava ogni teoria economica marxista e si faceva strada una concezione, quella della economia sociale di mercato, che si sarebbe poi declinata in esperimenti di cogestione nelle principali aziende tedesche.
Da noi, invece, il modello di accumulazione si andava caratterizzando sempre più per essere un inestricabile intreccio tra pubblico e privato (Draghi lo sa bene, visto che ne gli anni ’90 ha dovuto partecipare al processo di privatizzazione di molte aziende a PPSS), modello sostenuto da un larghissimo consenso, basta leggere “i giorni dell’IRI” di Massimo Pini (che non era né comunista né democristiano).
Quel modello è entrato in crisi, fin dai primi anni ’70, per colpa delle Relazioni industriali post-statuto dei lavoratori? Per colpa delle rivendicazioni economiche dei contratti rinnovati negli anni ’60? Certo, come successivamente Tarantelli ed altri economisti, dimostrarono che la risposta agli shock inflazionistici del nostro sistema (attraverso il punto unico di contingenza della scala mobile) non era la miglior risposta possibile, ma davvero si può pensare che questo sia responsabilità della dialettica che allora si era determinata tra Aziende e sindacati? Ci volle un referendum, non dei più facili, per lasciare un modello di tutela dei salari (quello della contingenza in busta paga) e affidarsi invece, guarda un po’!, con più coraggio alla libera contrattazione tra le parti.
A voler essere cattivi, mi vien da pensare che già allora qualcuno, e non di poco peso politico, stava seminando a man bassa la pianta del “populismo” che molti danni avrebbe poi fatto negli anni a venire.
La responsabilità non fu di chi aveva “rotto il giocattolo” fu di coloro, non solo tra i corpi intermedi, che non ebbero il coraggio, la coerenza e la determinazione per costruirne uno nuovo e diverso, se questo è il monito del presidente Draghi allora non solo è da condividere ma è da raccogliere urgentemente e tradurlo in nuovo impegno, prima che la finestra del PNRR si richiuda in una nuova fase economica, inevitabilmente di rigore monetario.
Luigi Marelli