“Chi se ne frega di andare a Lione?” tuona il ministro delle Infrastrutture, Toninelli. Già, appunto, chi se ne frega? Sarebbe importante saperlo, nell’interminabile diatriba sulla Tav Torino-Lione, ma non pare che il ministro ritenga che valga la pena accertarlo. Gli storici del futuro si soffermeranno, probabilmente, sulle novità che i 5Stelle hanno portato nello stile di governo. Toninelli, infatti, è solo l’esempio più vistoso di un modo sbrigativo – largamente ripetuto nelle file grilline – di gestire la cosa pubblica e di presentarla ai cittadini. Lo stile, anche quello di governo, tuttavia, raramente è fine a sé stesso. Il più delle volte, è lo specchio di atteggiamenti, convinzioni, virtù e debolezze assai più radicate in profondità. È così anche in questo caso. Ed è un problema per i 5Stelle e anche per il paese che, meno di un anno fa, lo ha indicato come il partito più importante.
L’Ilva, la Tap, la Tav, la Gronda (stradale verso Genova) il Terzo Valico (ferroviario, ma sempre verso Genova), le trivelle petrolifere offshore sono solo i casi più evidenti di una lunga serie di No che i 5Stelle hanno pronunciato in passato e confermato o tentato di confermare una volta arrivati al governo. Ora, nonostante i dogmatismi da una parte e le facili ironie dall’altra, ognuno di questi No ha motivazioni, in parte condivisibili, in parte no, ma comunque reali, con cui occorre confrontarsi. L’Ilva inquina davvero. La Tap (il gasdotto che arriva in Puglia) e le trivelle offshore sono due espressioni di un modello di sviluppo energetico che andrà superato per far fronte all’effetto serra. La Torino-Lione, la Gronda, il Terzo valico comportano interventi significativi sull’ambiente, in nome di una moltiplicazione del traffico e dei traffici, dei cui effetti positivi si potrebbe anche discutere.
Perché, allora, l’impressione inestirpabile è che i 5Stelle si siano limitati a fare incetta di No, per rastrellare voti, come che sia, salvo poi arrendersi, quando il No si rivela insostenibile? Perché alla serie di No, non corrisponde una serie di Sì, che sono il sale della cultura di governo. Nelle battaglie – quelle perse (Ilva, Tap) quelle vinte (trivelle), quelle in corso (Tav, Gronda, Terzo Valico) – di questi mesi, ciò che manca completamente è la proposta di un’alternativa.
Per l’Ilva – una delle grandi realtà industriali italiane – non era facile, ma nessuno ha cercato seriamente un diverso sviluppo della città su cui puntare. Se si rifiuta il petrolio delle trivelle, si può dire no anche al metano, il meno inquinante dei combustibili fossili? Se il problema non è il metano, ma il gasdotto, si punta ad attrezzare, invece, punti di attracco per le navi che portano il gas, dal Qatar o dagli Usa? Se, invece, no, davvero niente gas, dove è un ambizioso megapiano di sviluppo delle fonti rinnovabili, lastricato di pale eoliche offshore e di distese di pannelli solari? Nei programmi del governo, non ce n’è traccia.
Lo stesso intreccio di contraddizioni si trova nelle altre grandi infrastrutture in sospeso. L’Italia ha la geografia che ha. Quale è la scelta strategica del paese? Gomma o rotaia? Meno Tav e più Tir, ovvero, rinunciamo alla Torino-Lione per affidare ai camion i traffici con la Francia? Ma se si punta sui camion, la Gronda ci vuole. Se invece i Tir inquinano, la risposta è nella Tav e nel Terzo Valico.
Oppure, no: semplicemente, basta con le opere faraoniche, le risorse vanno destinate ai bisogni di tutti i giorni della gente, pendolari in testa. Ma allora, bisogna giustificare il salvataggio Alitalia, dove le Fs rischiano di bruciare le risorse già destinate al rinnovo della flotta di treni regionali.
Si può rinunciare al vecchio modello di sviluppo, se si è capaci di proporne uno nuovo, all’insegna di una strenua difesa dell’ambiente e di un grande piano di energie rinnovabili. Realizzabile? Forse no. Ma quello che il paese paga sicuramente è l’assenza di una qualsiasi strategia: la confusione frena gli investimenti, che sono all’origine della recessione in corso. A meno che, naturalmente, l’idea non sia ancora quella della “decrescita felice”, assai più accattivante, però, all’opposizione, che al governo. Per ora, infatti, a vedere i dati Istat, la decrescita è stata assicurata. Felice un po’ meno.
INFRASTRUTTURE
Perchè dovrebbe ‘’fregarci’’ di andare a Lione
Alla serie di No dei 5stelle non corrisponde una serie di Sì: ciò che manca completamente è la proposta di un’alternativa. Si può rinunciare al vecchio modello di sviluppo, se si è capaci di proporne uno nuovo.
“Chi se ne frega di andare a Lione?” tuona il ministro delle Infrastrutture, Toninelli. Già, appunto, chi se ne frega? Sarebbe importante saperlo, nell’interminabile diatriba sulla Tav Torino-Lione, ma non pare che il ministro ritenga che valga la pena accertarlo. Gli storici del futuro si soffermeranno, probabilmente, sulle novità che i 5Stelle hanno portato nello stile di governo. Toninelli, infatti, è solo l’esempio più vistoso di un modo sbrigativo – largamente ripetuto nelle file grilline – di gestire la cosa pubblica e di presentarla ai cittadini. Lo stile, anche quello di governo, tuttavia, raramente è fine a sé stesso. Il più delle volte, è lo specchio di atteggiamenti, convinzioni, virtù e debolezze assai più radicate in profondità. È così anche in questo caso. Ed è un problema per i 5Stelle e anche per il paese che, meno di un anno fa, lo ha indicato come il partito più importante.
L’Ilva, la Tap, la Tav, la Gronda (stradale verso Genova) il Terzo Valico (ferroviario, ma sempre verso Genova), le trivelle petrolifere offshore sono solo i casi più evidenti di una lunga serie di No che i 5Stelle hanno pronunciato in passato e confermato o tentato di confermare una volta arrivati al governo. Ora, nonostante i dogmatismi da una parte e le facili ironie dall’altra, ognuno di questi No ha motivazioni, in parte condivisibili, in parte no, ma comunque reali, con cui occorre confrontarsi. L’Ilva inquina davvero. La Tap (il gasdotto che arriva in Puglia) e le trivelle offshore sono due espressioni di un modello di sviluppo energetico che andrà superato per far fronte all’effetto serra. La Torino-Lione, la Gronda, il Terzo valico comportano interventi significativi sull’ambiente, in nome di una moltiplicazione del traffico e dei traffici, dei cui effetti positivi si potrebbe anche discutere.
Perché, allora, l’impressione inestirpabile è che i 5Stelle si siano limitati a fare incetta di No, per rastrellare voti, come che sia, salvo poi arrendersi, quando il No si rivela insostenibile? Perché alla serie di No, non corrisponde una serie di Sì, che sono il sale della cultura di governo. Nelle battaglie – quelle perse (Ilva, Tap) quelle vinte (trivelle), quelle in corso (Tav, Gronda, Terzo Valico) – di questi mesi, ciò che manca completamente è la proposta di un’alternativa.
Per l’Ilva – una delle grandi realtà industriali italiane – non era facile, ma nessuno ha cercato seriamente un diverso sviluppo della città su cui puntare. Se si rifiuta il petrolio delle trivelle, si può dire no anche al metano, il meno inquinante dei combustibili fossili? Se il problema non è il metano, ma il gasdotto, si punta ad attrezzare, invece, punti di attracco per le navi che portano il gas, dal Qatar o dagli Usa? Se, invece, no, davvero niente gas, dove è un ambizioso megapiano di sviluppo delle fonti rinnovabili, lastricato di pale eoliche offshore e di distese di pannelli solari? Nei programmi del governo, non ce n’è traccia.
Lo stesso intreccio di contraddizioni si trova nelle altre grandi infrastrutture in sospeso. L’Italia ha la geografia che ha. Quale è la scelta strategica del paese? Gomma o rotaia? Meno Tav e più Tir, ovvero, rinunciamo alla Torino-Lione per affidare ai camion i traffici con la Francia? Ma se si punta sui camion, la Gronda ci vuole. Se invece i Tir inquinano, la risposta è nella Tav e nel Terzo Valico.
Oppure, no: semplicemente, basta con le opere faraoniche, le risorse vanno destinate ai bisogni di tutti i giorni della gente, pendolari in testa. Ma allora, bisogna giustificare il salvataggio Alitalia, dove le Fs rischiano di bruciare le risorse già destinate al rinnovo della flotta di treni regionali.
Si può rinunciare al vecchio modello di sviluppo, se si è capaci di proporne uno nuovo, all’insegna di una strenua difesa dell’ambiente e di un grande piano di energie rinnovabili. Realizzabile? Forse no. Ma quello che il paese paga sicuramente è l’assenza di una qualsiasi strategia: la confusione frena gli investimenti, che sono all’origine della recessione in corso. A meno che, naturalmente, l’idea non sia ancora quella della “decrescita felice”, assai più accattivante, però, all’opposizione, che al governo. Per ora, infatti, a vedere i dati Istat, la decrescita è stata assicurata. Felice un po’ meno.
Maurizio Ricci