Luca Maria Colonna – Segretario Nazionale Uilm Uil
Ci troviamo di fronte a un dibattito sindacale sempre più urlato e alla prospettiva di una vicenda contrattuale che porterà – non lo auspico, ma è assai probabile – i sindacati dei metalmeccanici a dividersi fin dalla presentazione delle richieste. Forse mi illudo ma vorrei tentare un esperimento: desidererei discutere pacatamente nel merito.
L’argomento su cui mi voglio esercitare è tuttora al centro di una scottante contrapposizione: mi sto riferendo alla normativa sui contratti a tempo determinato. La Fiom (si veda il documento della Segreteria nazionale del 16 settembre) accusa Cisl e Uil di aver ulteriormente liberalizzato questa forma di contratto di lavoro con la definizione dell’avviso comune che poi è stato recepito dal Governo ed è divenuto legge dello Stato con l’emanazione del D. Lgs.vo 368/2001.
La scelta dell’argomento è determinata sia dal fatto che l’avviso comune è stato il primo tema su cui si è registrata una spaccatura tra Uil e Cisl da una parte e Cgil dall’altra, sia perché gli effetti giuridici di questa nuova normativa nell’industria metalmeccanica decorreranno dalla scadenza del contratto nazionale di lavoro, cioè dal prossimo 1° gennaio.
L’approccio – necessariamente un po’ tecnico – che adotterò è quello di esaminare il testo del Decreto 368/2001 e provare a immaginarne gli effetti sia sulla realtà produttiva metalmeccanica sia su quella della normativa contrattuale. Evidenzierò in particolare quello che – secondo me – andrebbe scritto nel nuovo contratto di lavoro su questo argomento e perché.
La prima e più rilevante novità è che dal 1° gennaio non esistono più le causali definite dalla legge 56/1987 o dalla contrattazione collettiva ma si consente l’apposizione del termine a condizione che ci siano “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” e queste devono risultare da un atto scritto. Per tutelare i lavoratori dagli abusi, questa sintetica formulazione sarà più efficace delle causali? Io ritengo di sì, ma anche a voler essere malevoli nei confronti di questa norma, mi pare difficile non riconoscerle un’efficacia almeno pari a quella della giungla di causali sedimentata nel tempo dalle più diverse fonti (legge 230/1962, Accordi interconfederali, Ccnl e accordi aziendali).
Il riferimento all’esistenza di ragioni oggettive per apporre un termine a un contratto di lavoro dovrebbe eliminare o almeno contenere sia l’utilizzo del contratto a termine come un periodo di prova lungo, sia la possibilità di assunzione a termine basate su particolari requisiti dei futuri dipendenti. Si pensi ai contratti di inserimento, normati dall’Accordo interconfederale 18 dicembre 1988: si tratta di una quota di assunzioni fino a un massimo del 10% dei dipendenti la cui causale era esclusivamente la condizione del lavoratore da assumere, disoccupato da lungo tempo.
Dal 1° gennaio 2002, nell’industria metalmeccanica per stipulare un contratto a termine la disagiata condizione soggettiva del lavoratore dovrà necessariamente coesistere con le ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive. Se vi sono invece ragioni per procedere a un’assunzione a tempo indeterminato (si pensi al turn-over) non si potrà ricorrere al contratto a termine, pena il rischio di un vizio di motivazione che, come è noto, è sanzionato con la conversione in un contratto a tempo indeterminato. Certo le imprese potranno aggirare l’ostacolo con altre forme flessibili, per esempio il lavoro temporaneo, ma questo costerà loro un po’ di più. La precarietà verrà così disincentivata anche sul piano dei costi. Mentre è sicuramente più auspicabile che le imprese ricorrano ai contratti di formazione lavoro o all’apprendistato, contratti a causa mista che prevedono per chi viene inserito in un’impresa senza avere esperienza di lavoro, dei percorsi formativi.
Un altro punto rilevante della nuova normativa è il divieto di assunzione con contratto a tempo determinato per le imprese che non hanno svolto la valutazione dei rischi prevista dal D.Lgs.vo 626/1994. Mi sembra un intervento assai opportuno vista la correlazione tra lavoro atipico e infortuni sul lavoro. Si tratterà comunque di evitare che la valutazione dei rischi sia considerata svolta tenendo conto degli aspetti meramente formali. Ritenere che sia sufficiente un documento, magari elaborato secondo uno schema standard e non aggiornato, per poter accedere ai contratti a tempo determinato, sarebbe contrario allo spirito e alla lettera sia il D.Lgs.vo 626/1994 che il 368/2001.
La disciplina della proroga, che prevede la necessità di ragioni oggettive e nel porre a carico del datore di lavoro l’onere della prova, mi pare assai utile per favorire il processo di stabilizzazione dei lavoratori a termine. Non viene invece risolto in modo diretto – ma è praticamente impossibile trovare su questo specifico ambito una soluzione giuridicamente valida – il problema degli abusi nella reiterazione di contratti a tempo determinato. Questi potranno e dovranno essere contrastati con riferimento all’oggettività delle motivazioni che consentono di apporre un termine al rapporto di lavoro.
Parimenti interessanti mi paiono gli effetti dell’articolo 6 del decreto 368/2001 che in applicazione del principio di non discriminazione prevede che il lavoratore con contratto a tempo determinato abbia la stessa retribuzione del corrispondente lavoratore a tempo indeterminato. Con l’entrata in vigore di questa normativa decadranno quindi tutte le norme previste nei contratti aziendali che prevedono il salario d’ingresso per chi è assunto con contratto a termine. Ovviamente il decreto 368 prevede l’esclusione per gli istituti incompatibili con la natura del contratto a termine e quindi chiaramente con tutti quelli che prevedono incrementi retributivi legati all’anzianità aziendale. Meno chiaro è se il premio di risultato sia compatibile o meno con la natura del contratto a termine. Sarebbe quindi necessario prevedere, così come avremmo già dovuto fare anche per il lavoro temporaneo, un sistema convenzionale per la forfettizzazione del premio di risultato per i terministi. Non farlo significherebbe affidare a giudici ed avvocati la decisione circa la compatibilità del premio di risultato con il lavoro a tempo determinato. Ma questo è rischioso per entrambe le Parti, comporterebbe un lungo periodo di incertezza normativa e, soprattutto, sarebbe mortificante per l’autonomia contrattuale delle Parti sociali.
Il decreto 368 affida inoltre alla contrattazione o più precisamente ai contratti nazionali, la definizione di importanti tutele per i lavoratori a temine:
1. prevedere modalità e strumenti formativi che aumentino la qualificazione e quindi la stabilizzazione. La Uilm pensa di fare questo con strumenti bilaterali che offrano ai terministi tutele analoghe a quelle offerte – mediante Ebitemp e Formatemp – ai lavoratori temporanei;
2. definire le modalità di informazione sulle opportunità di lavoro permanente disponibili nell’impresa e le modalità per l’esercizio del diritto di precedenza in caso di assunzioni a tempo indeterminato. Attualmente nel contratto nazionale dell’industria metalmeccanica è previsto solo un appello alla buona volontà degli imprenditori: dal 1° gennaio invece il diritto di precedenza è esigibile e dura per un anno dalla scadenza del contratto a tempo determinato. Il contratto nazionale dovrà prevedere le modalità di esercizio di questo diritto.
3. individuare i limiti quantitativi al ricorso ai contratti a tempo determinato, i cosiddetti tetti. Ritengo tuttavia che i limiti oggi previsti nel ccnl siano più che sufficienti, viste anche le esclusioni già previste nel decreto.
Mi sia consentito infine segnalare che questa nuova normativa valorizza il ruolo dei contratti nazionali. Così come già avvenuto per le norme sul lavoro temporaneo, il decreto riserva loro la definizione dei tetti ed elimina la possibilità di operare deroghe con la contrattazione aziendale, prevista nella legge 56/1987. Si tratta di un ragionamento che mi porterebbe assai lontano.
Affido queste riflessioni a “il diario del lavoro” per surrogare in qualche modo l’assenza di quel confronto, acceso ma proficuo, che in altri rinnovi contrattuali si svolgeva tra gli “uffici contrattuali” di Fim, Fiom e Uilm. Concludo con un invito a Fim e Fiom a replicare e a ragionare su questo come su altri aspetti del merito contrattuale. Si tratterà comunque di un confronto più interessante di quello che stiamo svolgendo oggi con polemiche a distanza sui giornali o nelle assemblee e ci aiuterà tutti a fare sempre meglio il nostro mestiere, quello del sindacalista.