Tutto quello che sta facendo il governo in questi giorni, quasi tutto diciamo, e tutto quello che che farà nei prossimi mesi va visto in prospettiva. Cioè non guardando all’effetto che fa oggi o domani, bensì a quello che farà a giugno 2024. Quando si voterà per le elezioni europee e ogni partito correrà per conto proprio, senza alleanze, coalizioni, accordi tra questo e quell’altro. Vincerà chi prende più voti dell’altro, sia esso un partner della maggioranza sia un avversario dell’opposizione.
E va detto che la premier Giorgia Meloni ha cominciato questo gioco con anticipo e pure con una certa determinazione. L’accordo con il leader albanese Edi Rama e la proposta di legge sul premierato forte, ammesso e nient’affatto concesso che riescano ad andare in porto, vanno letti guardando avanti. Si tratta insomma di pura “propaganda live”, capace di irretire gli elettori con promesse allettanti: migranti non più a Lampedusa, dunque non più in Italia e “finalmente” un capo eletto dal popolo che avrebbe così una tale investitura da poter fare il bello e il cattivo tempo a suo piacimento. Se poi queste due idee non dovessero concretizzarsi, non importerebbe: l’importante è poterle sbandierare in questa lunghissima campagna elettorale. E se i voti che spera di prendere, la premier dovesse “rubarli” agli alleati Salvini e Tajani andrebbe bene lo stesso: la sua idea è quella di usare il voto di giugno per affermarsi come leader indiscussa. Come accadde per il leader leghista nel 2019 (34,7 per cento) e per Matteo Renzi nel 2014 (40,8 per cento). Che poi i voti per quei due si dissolsero in pochissimo tempo come neve al sole, non sarebbe un problema: lei è convinta che riuscirebbe a tenersi i consensi che spera di guadagnare e in questo modo annichilire alleati e avversari almeno fino alle elezioni politiche che dovrebbero tenersi nel 2027.
Sugli avversari, stando ai sondaggi, sembrerebbe facile il gioco di Meloni: Pd e Cinquestelle non sono ancora riusciti a formare un’alleanza organica, mentre invece combattono entrambi per superare il 20 per cento possibilmente prendendo un voto in più dell’altro. Quando ai suoi alleati, se ne dovranno fare una ragione: è lei la leader e a lei spetta il compito di trainare il governo. Che poi i due alleati condividano questa idea, è tutto da vedere: al momento non sembra affatto che siano d’accordo con lei. Basta notare il malumore nei confronti dell’accordo con l’Albania – di cui non erano stati informati – e della stessa riforma costituzionale. Non hanno gradito, Salvini e Tajani, che Meloni facesse tutto da sola, e tanto meno gradiranno il suo eccesso di protagonismo che non mancherà nei prossimi mesi. Qualche bastone, diciamo qualche bastoncino, tra le ruote cercheranno di metterglielo, ovviamente stando molto attenti a non compromettere l’azione di governo e la coesione formale dell’alleanza.
Oppure – e questa è l’ipotesi più probabile – aspetteranno sulla riva del fiume che passino i cadaveri dei due asset messi in piazza dalla premier. Asset che si riveleranno presto iniziative puramente propagandistiche, già oggi si capisce che l’idea di costruire centri di accoglienza, anzi di detenzione illegale, dei migranti in Albania non potrà avere una ricaduta pratica: costi elevatissimi, enormi complicazioni per rispettare i diritti di chi viene portato lì, viaggi continui di andata e ritorno dei magistrati e poliziotti per identificare e aprire pratiche per i richiedenti asilo, rimpatri spesso impossibili, l’Unione europea che non si dimostra per niente d’accordo… Insomma un pasticcio senza senso, anzi col senso di dividere ancor di più l’Italia e alimentare polemiche furiose.
Così come un pasticcio risulta il cosiddetto premierato forte. Una riforma che riduce il Parlamento a un bivacco di manipoli (Mussolini dixit), la presidenza della Repubblica a un’istituzione senza alcun potere, cominciando da quelli di scioglimento delle Camere e di nomina a del premier (che sarebbe già stato eletto dal popolo), l’opposizione a un puro ruolo di testimonianza. E qualora passasse in Parlamento dopo lunghi mesi di violente discussioni e un doppio passaggio parlamentare, ci sarebbe comunque il referendum confermativo visto che per evitare il voto popolare servirebbero i due terzi di voti delle Camere che non sarà possibile ottenere.
Vabbé, questa è l’Italia di oggi, l’Italia di Meloni. L’unica speranza è che la maggioranza degli italiani non si faccia abbindolare da queste due favole, e che quel che ancora c’è dell’opposizione sia capace di scendere in campo e dare una battaglia spiegando ai cittadini perché si tratta appunto di due favole. Magari evitando di continuare a farsi la guerra per un voto in più del possibile alleato, visto che la partita vera non si giocherà alle europee, ma alle successive elezioni politiche per il futuro governo. Cioè per il futuro del Paese.
Riccardo Barenghi