Non ci voleva un genio a ottobre per capire che saremmo arrivati qui: alla spaccatura verticale della Cgil (a tutti i livelli) e alla perdita di importanza dei contenuti e della strategia del sindacato rispetto alla scelta del nome del prossimo segretario generale. Se ci sono arrivato io a prevederlo, che non mi sono quasi mai occupato di questioni “politico-organizzative”, vuol dire che l’avevano capito tutti. Spiace constatare che nessuno ha preso precauzioni perché questa spaccatura non avvenisse, abbandonandosi al tifo per la propria squadra e accusando l’altro schieramento della responsabilità di rottura. Toccava in primis all’attuale Segretario generale, constatata la divisione sulla candidatura da lei avanzata, cercare una composizione. Ma Susanna ha preferito non farlo. Non so per quale motivazione e quale calcolo ha voluto andare alla resa dei conti (in senso letterale) sulla sua proposta, quasi fosse una questione di fiducia nei suoi confronti, piuttosto che la ricerca di una soluzione unitaria per il futuro della Cgil, come indispensabile condizione di rinnovamento.
È stata fatta, mesi fa, una consultazione (ora si dice un “ascolto”) sui criteri per la scelta del successore. Non conosco i dettagli di quella consultazione. Ma il criterio della salvaguardia dell’unità della Cgil avrebbe dovuto essere il primo da porre. Se non è stato così la consultazione è stata mal impostata e mal conclusa. Non è un problema di regole violate, è un problema di valori: mai si era arrivati a un Congresso caratterizzato da una spaccatura netta del gruppo dirigente, nemmeno negli anni più duri del confronto tra sindacato e Partiti “di riferimento”. Ci si arriva adesso che partiti con radici laburiste non ce ne sono più? È difficile comprendere il motivo di tanta “insostenibile leggerezza” e tanta ostinazione. È un po’ penoso constatare che il Congresso della Cgil, per la prima volta, non riuscirà a parlare al Paese e nemmeno a tutta l’organizzazione.
Tra una settimana, metà gruppo dirigente della Cgil tornerà da Bari pensando di aver vinto, l’altra metà che potrà vincere alla prossima occasione. E invece, non avere una Cgil unita e rinnovata sarà una sconfitta per tutti. Non solo per noi iscritti e militanti, non solo per chi pensa che la Cgil sia l’ultimo soggetto organizzato e diffuso della sinistra italiana, ma anche per chi ci guarda da fuori chiedendosi se in questo Paese assieme alla rappresentanza politica non sia finita anche la rappresentanza sociale e del lavoro.
Non avrei rese pubbliche la mia amarezza e la mia delusione di anziano militante, se non fosse per un ultimo appello al Segretario generale e anche ai candidati: “L’iceberg è ben visibile davanti a noi ormai da qualche mese, la nave del congresso della Cgil è in piena velocità… Non portate a sbattere e incagliare uno dei più grandi sindacati europei per rivalità tra i vertici di comando! Perché la spaccatura sarà profonda e non si riparerà in fretta. E due tronconi di nave non consentono di reggere le acque turbolente delle innovazioni in corso sul piano politico, economico e sociale”.
Non so, onestamente, cosa si possa fare, a pochi giorni dal congresso (a pochi metri dall’iceberg) per ricomporre le divisioni inasprite in questi mesi. Se debbano essere i candidati a sottoscrivere esplicitamente un patto unitario fra loro qualsiasi sia il risultato del voto, oppure se possa essere un’iniziativa dei delegati a richiedere questa condizione al futuro gruppo dirigente, visto che al congresso tutti gli incarichi sono fisiologicamente scaduti. O se possa ancora, come sarebbe “normale”, essere Susanna Camusso a imporre, non la rinuncia alle candidature (nessuno ora può fare un passo indietro) ma la esplicitazione di un patto unitario tra i candidati e nei gruppi dirigenti.
Non rinuncio a sperare che la relazione introduttiva al congresso (l’ultima di Susanna) sia un appello generale a ricostituire l’unità della Confederazione come indispensabile condizione passata e futura per la vita, la crescita della nostra Cgil. Non abbiamo bisogno di separazioni né personali né politiche ma di ricomporre il pluralismo in una strategia unitaria di rinnovamento del sindacato.
Gaetano Sateriale