La Cgil non merita la rappresentazione che ne stanno dando i giornali. Il più grande sindacato italiano e i suoi massimi dirigenti hanno sempre salvaguardato prima di tutto l’unità dell’organizzazione. Nella pluralità delle diverse esperienze e culture ma con la consapevolezza che una sintesi unitaria sia indispensabile per pesare e poter rappresentare adeguatamente il mondo del lavoro. Una sintesi, non una tesi che prevale sulle altre. Non siamo un qualunque partito sconfitto alle elezioni che litiga al suo interno su chi ne abbia la colpa. Non siamo un movimento che mobilita la gente per ottenere un consenso a breve, indipendentemente dai risultati che può garantire. Non lo siamo mai stati: nemmeno quando in Cgil c’erano le componenti di partito e la sintesi era difficile. Nemmeno negli anni più duri delle repressioni antioperaie, del terrorismo, di tangentopoli, del trionfo del pensiero liberista, della recente crisi economica e sociale. In Cgil ci si confronta su diverse posizioni programmatiche e si eleggono dirigenti che sappiano interpretare al meglio la sintesi unitaria che ne scaturisce. Non siamo un’organizzazione divisa in fazioni in cerca di un leader e di leader in cerca di poltrone. Non siamo un’organizzazione in cui il capo indiscusso parla direttamente al popolo. Siamo una macchina diffusa e complessa. La nostra vita, la nostra attività quotidiana è più ricca delle diatribe: nelle categorie come nelle strutture confederali, a Roma come nei territori. Un lavoro svolto da centinaia di quadri che produce migliaia di trattative e accordi unitari, e servizi erogati quotidianamente a migliaia di persone sole. No, la Cgil non merita la rappresentazione che ne stanno dando i giornali.
Se non la merita, non può e non deve in alcun modo alimentarla. Su questo io penso, da militante di lunga data, da ex dirigente, da collaboratore in pensione (pertanto fuori dai giochi) che di errori ne abbiamo fatti parecchi e non solo errori da matita rossa. Non è buona norma, ad esempio, abbinare il congresso alla elezione del nuovo segretario generale (e di tanti gruppi dirigenti nazionali e locali) perché è facile prevedere che la discussione congressuale sarà condizionata nel bene e nel male da quelle scelte. E i documenti congressuali ne saranno sminuiti. Quando sarebbe necessario uno sforzo programmatico innovativo di fronte a un mondo politico, economico, democratico, sociale, tecnologico, culturale che sta cambiando a grande velocità. È stato un errore spostare il Congresso troppo avanti rispetto alle sue scadenze e concepire un documento troppo presto di fronte al mutamento radicale intervenuto in Italia dopo le elezioni di marzo. Da allora navighiamo in un mare sconosciuto senza aver concepito una bussola di riferimento generale per tutti. Ancora troppo debole l’argine solidale al razzismo sovranista, ancora flebile la denuncia dell’inganno che si cela dietro il reddito di cittadinanza rispetto a una seria politica dello sviluppo e dell’occupazione dei giovani e delle donne. Per non dire delle ambigue strizzate d’occhio a questo o quel ministro. Chi altri se non la Cgil può definire oggi (assieme a Cisl e Uil) un manifesto per una nuova Europa aperta, solidale e sicura? Chi altri se non la Cgil – che lo aveva sollecitato 5 anni fa con il Piano del Lavoro – può rivendicare oggi un progetto nazionale di manutenzione, riqualificazione e modernizzazione del territorio per prevenire i disastri? Chi altri se non la Cgil può organizzare nei territori una battaglia contro la povertà e per un welfare più omogeneo e diffuso? Chi altri se non i corpi intermedi, a partire dai sindacati, possono oggi concordare fra loro un “patto” per una crescita sostenibile, ambientalmente, socialmente, economicamente sostenibile? Temo che a febbraio sarà tardi per iniziare a parlare di questi temi e che le elezioni europee e amministrative torneranno a polarizzare l’elettorato e a dividere il mondo del lavoro (compresi i nostri iscritti) senza l’autorevole voce della Cgil in campo.
Di fronte a queste impellenti necessità del Paese, un errore grave è stato senz’altro quello di voler accelerare le procedure per l’individuazione del prossimo segretario generale e spostare su questo l’attenzione dell’organizzazione. Sapendo per di più che non c’era unanimità sulla candidatura (o sulle candidature). In questo caso, compito del segretario generale è quello di costruire e garantire il massimo di unità interna e rendere “fisiologico” il percorso di consultazione ai sensi delle regole stabilite. Non inventarne di nuove, non assumere il diritto di una designazione personale da comunicare al popolo via Face Book. Ricordiamo l’esempio di Trentin. Aveva delle preferenze? Non c’è dubbio. Ma si guardò bene dal dire “questo è il mio candidato” anche se, con la sua autorevolezza, avrebbe potuto spostare l’ago della maggioranza. Non fece una consultazione privata e si fece ascoltare, in via ufficiale, per ultimo. Dedicando il suo lavoro alla definizione puntuale di una strategia programmatica che valesse, in futuro, per l’intera organizzazione e per il nuovo gruppo dirigente. Io credo che sarebbe stato molto meglio se l’attuale segretario generale della Cgil avesse seguito questo prestigioso esempio.
Sulla candidatura che è stata proposta esprimo solo il mio personale punto di vista, senza presunzione e con molto rispetto per le persone coinvolte e per le idee diverse dalle mie. Nel lontano 1996, al congresso della Fiom, contro il giudizio di molti venne sancita l’idea dell’”indipendenza” della Fiom dalla Cgil. Cosa volesse dire quell’indipendenza (che teoricamente e statutariamente non sta in piedi) si è visto negli anni successivi: una forte identità metalmeccanica, certo, un rinato orgoglio di organizzazione (dopo le sconfitte alla Fiat), ma una continua contrapposizione tra la Fiom e le altre categorie, come tra la Fiom e la Cgil sulle scelte strategiche e le conquiste contrattuali. Con l’opposizione sistematica a tutti gli accordi interconfederali firmati, fino ai più recenti. Quell’idea di “indipendenza” non è mai stata messa in discussione nei successivi congressi. Lo sarà nel prossimo? Se fosse così saremmo davanti a un apprezzabile processo di avvicinamento, non vorrei dire di “ravvedimento”, da parte di quella grande e storica categoria: ognuno con le sue esperienze e competenze ma in un percorso confederale comune. Altrimenti non è pensabile che una cultura unica, fondata sull’idea di autosufficienza possa “governare” la Cgil, il suo pluralismo e le sue complessità. Perché le ignora: ignora cosa sia la confederalità sul territorio e ignora quali siano le esperienze e le culture contrattuali delle altre categorie. Le ignora non perché non le conosce ma perché le ritiene irrilevanti. Lontane dal “vero scontro di classe” che si svolge nelle fabbriche metalmeccaniche. Sarebbe questa la cultura innovativa di cui abbiamo bisogno?
Il segretario generale della Cgil sa benissimo queste cose perché in quel lontano congresso faceva parte (assieme a me e ad altri) della minoranza della segreteria nazionale Fiom che osteggiava l’idea di “indipendenza” e perché da quella cultura è stata attaccata per anni, fin dall’inizio del suo primo mandato in Cgil. Perché allora, oggi, il segretario generale ha fatto questa scelta di “fiommizzare” la Cgil e di aprire una spaccatura politico-culturale destinata a durare a lungo e a indebolire la Confederazione? Non sono ancora riuscito a capirlo.
Devo fare una precisazione. Stimo profondamente Susanna Camusso e la sua capacità di guidare, prima donna della storia, una organizzazione così complicata e difficile come la Cgil. La considero la più seria e competente nel suo lavoro, accorta e vigile verso ciò che accade al nostro interno. Sempre la prima a intuire i cambiamenti fuori di noi e a capire dietro la parole la sostanza vera delle cose e delle politiche. Mi lega a lei una lunga amicizia (oltre che la riconoscenza per avermi voluto coinvolgere nel lavoro della confederazione). È in nome di questa amicizia che mi permetto di dire che non sono d’accordo sulle decisioni e sulle proposte che ha reso pubbliche in questi giorni. E nemmeno sugli strumenti comunicativi usati per farlo. Così facendo, corre il rischio di essere ricordata come il segretario che al termine del suo mandato ha diviso la Cgil anziché unirla e questo, dopo tanto lavoro e tanto impegno da parte sua per la nostra organizzazione, mi dispiacerebbe molto.
Gaetano Sateriale