Se tre indizi fanno una prova, l’unico posto in cui c’è spazio per l’ottimismo sul 2025 è nelle previsioni del governo. Intendiamoci, interpretare la congiuntura è un’arte, in cui non c’è posto per i dilettanti e proprio il tasso di incertezza sui prossimi mesi – da Trump, dalla Bce in giù – è uno dei fattori che rendono le previsioni, insieme, scivolose e molto caute. E, però, l’accumularsi di dati che indicano una sola direzione fa suonare qualche allarme.
Primo, per il momento il Pil ristagna. Questa estate, il prodotto interno lordo del paese ha segnato aumento zero sul livello della primavera. Rispetto all’estate di un anno fa, l’aumento del terzo trimestre 2024 è solo dello 0,4 per cento. Grazie allo sprint di inizio anno, l’aumento, rispetto al 2023, già acquisito è pari allo 0,5 per cento. Ci vorrà qualche risveglio entro Natale, anche solo per centrare il deludente più 0,7 per cento (ben al di sotto delle speranze del governo di un anno fa) che ci assegnano per quest’anno gli organismi internazionali. Il problema è che di segni di risveglio non c’è traccia. Se ne sono accorti sia i consumatori che le imprese i cui indici di fiducia sono in calo.
In effetti, il Pil è l’immagine di un paese fermo. Il valore aggiunto dell’industria è diminuito di un altro 0,7 per cento, rispetto al secondo trimestre, quello dei servizi, nonostante l’estate e il turismo, è cresciuto solo dello 0,2 per cento. Gli investimenti hanno perso un altro 1,2 per cento e anche le esportazioni hanno segnato un calo dello 0,9 per cento.
Guardando più da vicino, stentano soprattutto i due pilastri dello sviluppo italiano. Il turismo, su cui si è appoggiata la ripresa post-Covid, registra un’estate deludente. Rispetto ad un anno fa, meno 3,6 per cento gli arrivi, meno 1,4 per cento le presenze: un dato che si ripete mese dopo mese. Non è colpa degli stranieri, che hanno affollato soprattutto il mese di luglio. Ma a rinunciare alle vacanze (e anche questo è un indicatore) sono stati, secondo i dati Istat, oltre due milioni e mezzo di italiani che, nel 2023, invece, le vacanze le avevano fatte: il calo, brusco, è quasi del 6 per cento.
E anche le esportazioni non brillano. Sul lungo periodo, il commercio estero aumenta, più o meno, allo stesso ritmo, da un paio d’anni. Se, però, guardiamo l’ultimo dato – quello di settembre – c’è un calo superiore al 5 per cento dei volumi esportati. E, a ottobre, il commercio extra Ue ha segnato una ulteriore battuta d’arresto, rispetto a settembre.
A questo punto, con un motore che perde colpi, quanto valgono le previsioni sul 2025 che erano state avanzate nei mesi scorsi? A parte il Fondo monetario che si era fermato allo 0,7 per cento, Ocse, la Commissione europea, l’Istat si erano allineati alla previsione del Tesoro, superiore all’1 per cento. Sono, tuttavia, stime compiute nella scorsa primavera, quando l’economia marciava più spedita. La Banca d’Italia pronostica, guardinga, uno sviluppo del 2 per cento, ma entro fine 2026. Assai poco ottimisti gli analisti privati: quelli di Unicredit si fermano, per il 2025, ancora allo 0,7 per cento.
Il dato 2025, tuttavia, è cruciale per capire se la barca del bilancio pubblico resterà a galla. Gli economisti hanno già calcolato che, con qualche spavalderia, comune ai governi di destra, la manovra 2025 in discussione in Parlamento dà già per scontato che la politica fiscale dei bonus e dei concordati darà una spinta all’economia anemica. Sui 17 miliardi di maggiori entrate necessari per coprire il disavanzo, oltre un miliardo e mezzo, infatti, deriva non da provvedimenti già presi, ma dagli effetti propulsivi, ancora tutti da verificare, dei tagli fiscali. Se l’economia continua a ristagnare come ora, è un buco annunciato di quasi due miliardi. Se le statistiche di questi mesi non cambiano segno, anche molto di più.
Maurizio Ricci