Abrogare l’articolo 8. E’ la conclusione emersa nel corso dell’iniziativa “Deregolazione del diritto del lavoro e ricadute sulle esperienze negoziali”, promossa dalla Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, a Roma presso la sede della Cgil Nazionale, che ha avuto appunto al centro del confronto tra giuslavoristi e sindacalisti l’articolo 8 della legge n.148/2011 ribattezzata poi “manovra di ferragosto”.
Il dibattito è partito dalla presentazione del fascicolo numero 3 del 2012 della Rivista giuridica del lavoro ‘Contrattazione di prossimità e articolo 8, legge n. 148/2011′ e poi si è concentrato sugli effetti dell’articolo 8 sul diritto positivo, il sistema di relazioni sindacali e industriali. I relatori hanno sottolineato l’approccio ideologico e politico di cui la norma è figlia e si sono interrogati sulla necessità di introdurre tale norma nell’ordinamento, sui problemi di costituzionalità che essa solleva, sul rischio che corre la rappresentanza interconfederale e il ruolo del sindacato, anche alla luce del contesto di crisi che sta attraversando il paese.
L’obiettivo della tavola rotonda è stato un confronto tra dottrina, diritto ed esperienza negoziale per capire l’utilità dell’articolo 8 nel sistema delle relazioni industriali e la conclusione a cui è arrivato il convegno è la necessità di abrogazione della norma per il bene del sistema, del ruolo delle rappresentanze sindacali e imprenditoriali, per il raggiungimento dell’equità e dell’uguaglianza tra gli attori della contrattazione, per una ridistribuzione più equa della ricchezza.
Infatti dal confronto è emerso che dopo il caso Fiat sono state molte le imprese che hanno rivendicato posizioni contrattuali nuove, con il rischio di una frantumazione del ruolo del sindacato e delle rappresentanze imprenditoriali e una polverizzazione dei contratti nazionali di lavoro.
E’ stato sottolineato il modo non casuale in cui si è arrivati a delineare tale norma, frutto di una strategia politica dovuta alla destra, iniziata nel 2003 con il decreto legislativo intitolato a Marco Biagi e poi continuata nel 2010 con il collegato lavoro, che mirava a mettere in discussione uno dei pilastri del diritto del lavoro post-costituzionale: la possibilità di derogare alla stessa norma del contratto con l’obiettivo di un indebolimento radicale del sistema stesso del diritto del lavoro.
Sono diversi i motivi addotti dalle parti per l’abrogazione dell’articolo 8. Innanzitutto l’uso che si è scelto di fare della norma, da un uso innocuo che poteva essere evitato perché non necessario a raggiungere risultati che la contrattazione in passato aveva già raggiunto, a un uso corretto che ha comunque avuto un effetto decostruttivo micidiale che ha modificato completamente la disciplina di alcuni contratti, come ad esempio di quello a termine, a un uso distorto o meglio ad un abuso del diritto in cui è avvenuto un vero e proprio processo di decostruzione del diritto del lavoro.
A questo si aggiunge il rischio a cui è soggetta la rappresentanza a livello interconfederale, dal momento che le decisioni vengono spostate al secondo livello, e il trasferimento della localizzazione spaziale della regolazione a livello aziendale che fa dell’impresa un microcosmo di decisione in cui la stessa azienda diventa ordinamento, con la conseguenza di un cambiamento degli equilibri a vantaggio del datore di lavoro al quale vengono restituiti tutti i poteri fino, per citare Vincenzo Bavaro, ad esaltare la razionalità dell’azienda come un valore che travalica l’interesse generale.
I relatori hanno sottolineato che l’articolo è in netto contrasto con numerose norme della Costituzione ed è frutto di una posizione politica con cui la destra ha espresso chiaramente i propri obiettivi, mentre è mancata chiarezza da parte della sinistra. Il rischio è che nei confronti della norma si provi una certa assuefazione, accettandola poi per intero con le sue conseguenze nefaste.
Sull’idea di abrogare l’articolo 8 senza alcuna remora è d’accordo tutta la Cgil.
Il segretario generale dei metalmeccanici, Maurizio Landini, ha ribadito la sua posizione portando come esperienza la vicenda Fiat, un caso non isolato ma frutto di un disegno preciso di riscrittura complessiva del sistema di relazioni sindacali, con l’obiettivo di cancellare il contratto collettivo nazionale, sottovalutata dal sindacato e dalle forze politiche che non hanno capito la vastità dei processi in atto. A suo avviso, siamo di fronte a un’individualizzazione del contratto di lavoro e quindi alla cancellazione della contrattazione e di conseguenza del ruolo del sindacato.
Solo l’impresa, ha detto Landini, ha potere e il lavoro, non più soggetto, è ridotto solamente a oggetto. L’art 8, secondo il sindacalista, favorisce questo processo e per questo è necessario abrogarlo e ridare voce al contratto nazionale, che va semplificato, fino al raggiungimento di un contratto per l’industria. La democrazia nei luoghi di lavoro, ha continuato, ormai è un guscio vuoto ed è necessario ripensare la strategia e l’azione del sindacato. Serve poi una legge sulla rappresentanza.
Tutti argomenti che trovano la condivisione anche dei segretari generali del settore del credito e dei chimici, Agostino Megale ed Emilio Miceli, per i quali però occorre contestualizzare il momento storico in cui il paese è oppresso dalla crisi.
Per Megale infatti il sindacato in questo momento dovrebbe puntare a includere tutte quelle realtà finora trascurate dai corpi di rappresentanza che sono rappresentate dai lavori in collaborazione, spesso praticati dai giovani. Inoltre è necessario, secondo il sindacalista, che si raggiunga una parità nel riconoscimento economico tra le stesse prestazioni regolate dal contratto dell’industria e quello degli artigiani.
La crisi, ha spiegato Miceli, ha cambiato la scala dei valori generando una nevrosi che non sarà semplicemente archiviata abrogando l’articolo 8, ma alla quale bisognerà rispondere ripensando il sistema di relazioni industriali e il modo in cui si ricostruisce la contrattazione di secondo livello.
E’ necessario, a suo avviso, allargare il perimetro dei contratti anche perché in questo momento le aziende chiedono una differenziazione di professionalità e salario a seconda del mercato in cui operano.
All’introduzione dell’articolo 8 la Cgil ha risposto con il piano del lavoro e con l’azione sul terreno del diritto del lavoro per dare regolazione alla contrattazione decentrata che poteva dare risposte diverse da quella nazionale, ribadendo la scelta di due livelli integrati in cui quello nazionale garantisce la tutela dei diritti universali e quello integrativo risponde ad esigenze in specifiche materie decise in accordo con le Rsu.