Dice Maurizio Landini, uscendo dall’incontro col governo sulle pensioni: “non è andato bene, non ci hanno detto niente. Nessuna risposta se non una generica disponibilità ad avviare tavoli”. Effettivamente, a leggere i resoconti sull’appuntamento, molto atteso, che avrebbe dovuto chiarire l’orientamento dell’esecutivo nei confronti di quella “riforma organica” della previdenza promessa alle forze sociali, non si capisce perché sia stata convocata questa riunione, visto che tutto è rimasto nel vaghissimo.
“Da questo tavolo devono uscire soluzioni, basta con interventi tampone: questo tavolo ha un obiettivo alto, dare risposte a chi sta uscendo dal lavoro ora, ma anche guardare al futuro dei giovani”, aveva esordito la titolare del Lavoro Marina Calderone, precisando che “serve un quadro stabile e chiaro di norme”. Perfetto. Peccato che poi si scivoli subito nella vaghezza: “Bisogna guardare ai numeri e alla strategia per una visione organica su lavoro e paese. Guardare alla flessibilità e alle condizioni soggettive delle persone, al modello Ape sociale e ai lavori usuranti, rilanciare la previdenza complementare, parlare della rivalutazione delle pensioni, il riordino delle gestioni previdenziali, eccetera.”
Titoli, solo titoli: già elencati infinite volte e che tutti, attorno a quel tavolo, conoscono a memoria. Manca però lo svolgimento del tema: le soluzioni, o almeno le opzioni. Le risposte alle domande. “Quanti soldi volete mettere su questa riforma?”, chiedono i sindacati, e il sottosegretario Durigon: “prima di dire quanto, dobbiamo capire insieme cosa vogliamo fare”. I sindacati: “certo, ma noi cosa vogliamo lo abbiamo detto da tempo, sta tutto scritto nella nostra piattaforma unitaria”. “Eh, ma mica ce l’avete mai mandata ufficialmente”, ribatte Calderone. I sindacati spiegano allora, pazientemente, che “abbiamo una piattaforma unitaria, la stessa che abbiamo presentato ai governi precedenti. E oggi vogliamo capire se c’è la volontà a questo tavolo di fare una riforma seria basata sulla nostra piattaforma, e sapere con quali risorse, perché’ nessuna riforma è a costo zero”.
Vogliono sapere, Cgil, Cisl e Uil, come rendere flessibile il sistema, come ridurre la precarietà del lavoro che si ripercuote poi sui trattamenti previdenziali; sapere se il governo è intenzionato a realizzare la pensione di garanzia per i giovani, conoscere il destino di Opzione Donna, che ha funzionato poco e male, e soprattutto si potrà realizzare l’uscita flessibile con quota 41. Qui entra in gioco Durigon, che garantisce: “c’è la volontà politica di superare la legge Fornero”. D’altra parte, la Lega da sempre sostiene questa soluzione. Benissimo, ma come la si realizza? chiedono i sindacati. Non si sa. “Servono momenti di riflessione tra i tecnici”, ammette Calderone, e annuncia la decisione di far procedere il tavolo di confronto con appuntamenti settimanali. Prossimo incontro l’8 febbraio, tema: donne e giovani.
Intanto, il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, dice la sola cosa concreta della giornata: “nel 2029 il rapporto tra pensionati e attivi scenderà da 1,4 a 1,3, e nel 2050 sarà alla parità: uno a uno’”. Come potrà reggere il sistema previdenziale con questo squilibrio, nemmeno questo si sa. Se non fosse chiaro, ci pensa il premier olandese Mark Rutte, parlando al forum di Davos, a ricordare che l’Italia e la Francia spendono tra il 10 e il 15 per cento del Pil per le pensioni, mentre l’Olanda, dove ci si ritira dal lavoro a 68 anni, solo il 5%: “e questo ci lascia liberi dieci punti di Pil da spendere su istruzione, innovazione, servizi ai cittadini, o magari per abbassare le tasse”. La Francia, d’altra parte, sta cercando di introdurre una riforma previdenziale che dal 2024 consentirebbe di andare in pensione solo a 64 anni, contro gli attuali 62: ma contro la decisione di Macron si alzano già scioperi e barricate. In Italia, la riforma si fece nel 2011, con Monti e Fornero, e da allora si cerca in tutti i modi di disinnescarla. Il suo impianto di base non è mai stato cambiato, anche se si moltiplicano le scappatoie che consentono di uscire prima dei 67 anni previsti: in media, infatti, secondo i conteggi di vari osservatori previdenziali, in Italia si va in pensione a 63. Inoltre, il governo avrà presto il problema della scarsità di risorse: si è visto con le accise sulla benzina, ma è solo un anticipo di quello che potrebbe accadere in primavera quando scadranno i costosi aiuti sulle bollette, e sarà un problema rinnovarli. Non molto, insomma, si potrà mettere sul piatto delle pensioni per accontentare i sindacati. Non c ‘e’ da stupirsi se oggi i ministri si sono tenuti sul vago. Ma Landini avverte: “va bene trattare, ma ora bisogna passare dalle parole ai fatti: servono risposte precise, sapere quante risorse si mettono sul piatto; diversamente, ognuno di assumerà le proprie responsabilità”. È praticamente un preannuncio di guerra, che sarebbe sbagliato sottovalutare.
Infine, una osservazione rispetto a come le tre confederazioni hanno diversamente valutato l’incontro col governo. La Cisl ha infatti fornito un commento che, almeno in apparenza, diverge da quello della Cgil. Se Landini ha definito l’incontro ‘”pletorico, interlocutorio e senza risposte”, Luigi Sbarra ha invece detto di aver ‘”apprezzato la disponibilità del governo. Quello di oggi – ha aggiunto – è stato un incontro significativo, che deve tracciare il percorso per una previdenza fondata su equità e flessibilità, stabilendo delle regole”. Apparentemente, come si diceva, posizioni diverse: in realtà è solo la forma a essere diversa. Nella sostanza, sia Landini, sia Sbarra, rivolgono al governo esattamente le stesse richieste, quelle contenute appunto nella piattaforma unitaria. Insomma, tra i tanti temi sui quali i sindacati potranno dividersi (e non è’ affatto da escludere che accada), difficilmente ci saranno le pensioni.
Nunzia Penelope