Ho paura. E’ un sentimento più profondo del timore dei danni che un ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe fare al suo paese, al nostro, all’Europa, al mondo in generale.
Intendiamoci, sono danni importanti. In questi giorni, nei corridoi dell’assemblea Fmi, a Washington, ci si riferiva ad una America neotrumpiana con la definizione “Banana Republic”: una delle tante repubbliche delle banane, in cui il presidente piega i poteri dello Stato a perseguire i suoi avversari, l’indipendenza degli apparati pubblici viene azzerata, l’esercito viene sguinzagliato nelle strade a garantire l’ordine e rastrellare milioni di immigrati irregolari. Il tramonto della democrazia americana sarebbe una tragedia oggi difficile da misurare e, forse, anche da immaginare.
E’ più facile, invece, delineare l’impatto dirompente che Trump 2 avrebbe sull’Europa e sul suo ruolo nel mondo. Si possono individuare quattro direttrici.
La prima riguarda, ovviamente, le grandi crisi internazionali, dall’Ucraina al Medio Oriente, dove, contro gli interessi e gli orientamenti europei, si può prevedere un’acquiescenza di Trump ai sogni imperiali di Putin e alla strategia di vendetta perenne di Netanyahu. Ma da una Casa Bianca dichiaratamente neoisolazionista verrebbe anche uno smantellamento, probabilmente terminale, dell’assetto internazionale ereditato dal dopoguerra, in cui l’Europa riconosce pienamente, fino ad oggi, la sua identità: svuotamento del G7, come vertice dell’Occidente, del Wto, perno della gestione del commercio mondiale, del Fmi, organo di controllo della finanza mondiale, della Nato e dell’ombrello di difesa europeo, e di tutta la strategia ambientale e di lotta al riscaldamento globale che ruota intorno alle iniziative dell’Onu.
Il problema più immediato, per l’Europa, è però la guerra delle tariffe, che Trump minaccia e a cui Bruxelles si sta esplicitamente preparando. Un conflitto commerciale a tutto campo, visto che il candidato repubblicano annuncia tariffe fra il 10 e il 20 per cento su tutte le importazioni, quelle europee comprese. Se a Bruxelles pensano che basti minacciare dazi sul whisky e sulle Harley Davidson per convincere Trump ad una marcia indietro si illudono, visto, sui dazi, il candidato repubblicano ha costruito la sua campagna elettorale e anche il programma economico di una sua presidenza. L’Unione europea, già impegnata in un braccio di ferro con Pechino che pesa sul suo export, rischia di venir stritolata dal doppio scontro ai due lati del mondo. E’ anche quella che rischia di più nel braccio di ferro, visto che l’export pesa sul Pil europeo assai più di quanto accada negli Stati Uniti o in Cina.
Eppure, anche il braccio di ferro sui dazi non dà pienamente conto del rischio-Trump. L’ultima direttrice di impatto si riscontra nei discorsi del candidato repubblicano, dove si parla apertamente di “distruggere l’industria europea”: una insidiosa miscela di dazi e incentivi che spinga le aziende europee a spostare direttamente negli Usa la propria produzione, sottraendola alle fabbriche europee. Trump ha un’età e, nella sua testa, l’industria non è chip o computer, ma l’auto e l’auto è quella tedesca. La minaccia, tuttavia, è trasversale e colpisce tutte le industrie esportatrici europee. E, del resto, l’auto è un settore cruciale per tutta l’economia europea.
La paura, la paura vera, tuttavia, è un’altra. Non la provavo più da quando, bambino, ho visto Kennedy e Krusciov chiudere, con la crisi dei missili a Cuba, l’incubo della guerra nucleare che aveva attraversato tutto il decennio precedente. Una guerra nucleare, magari con la Cina, oggi, resta impensabile, ma Trump è imprevedibile. Una sua presidenza sarebbe un viaggio nell’ignoto, un ignoto gravido di pericoli. Già oggi, Trump, alle soglie degli 80 anni, straparla e sragiona. Recentemente, ha invitato i suoi elettori, chiamati alle urne fra pochi giorni, a prepararsi alle elezioni “di gennaio”. In un altro comizio, si è limitato a fare il dj, amministrando musica per 40 minuti. E’ schiavo di puntigli e ossessioni ricorrenti. Un editorialista del New York Times ha osservato che, se vostro zio cominciasse a comportarsi così, voi, senza fare troppo chiasso, fareste sparire le chiavi della macchina. Ma al presidente degli Stati Uniti non si possono togliere le chiavi, in particolare della valigetta per la guerra nucleare.
In attesa delle elezioni, ho completamente smesso di vedere film e serie tv sui sopravvissuti a qualche catastrofe.
Maurizio Ricci