“La crisi ha anche reso più visibili alcune sfide: deficit e debito più elevati, divergenze e disuguaglianze più ampie e la necessità di maggiori investimenti. Abbiamo bisogno di regole di governance economica in grado di affrontare queste sfide a testa alta”. È quanto dichiarato dal vice presidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, presentando l’avvio della revisione delle regole fiscali dell’Ue. Le comunicazioni di Bruxelles prevedono che il dibattito si sviluppi in forum, più un sondaggio online che sarà chiuso il 31 dicembre. Entro il primo quadrimestre del 2022 la Commissione fornirà poi indicazioni tenendo conto di quanto emerso e fornirà un suo orientamento sulle modifiche al Patto di Stabilità e Crescita, con l’obiettivo di ottenere un largo consenso entro il 2023. E noi come intendiamo muoverci sul fronte fiscale? Il disegno di legge delega 5 ottobre 2021 presentato dal governo Draghi abbraccia praticamente l’intero sistema fiscale nazionale perché prevede di intervenire sulle principali imposte sia dirette sia indirette (dall’imposta sui redditi all’IVA, dall’IRAP alla Revisione dell’IRES e della tassazione del reddito di impresa, dal solito periodico adeguamento del catasto fino alla leggendaria promessa di codificazione del diritto tributario). Saranno quindi interessate dagli interventi riformatori le principali imposte da cui derivano praticamente i due terzi del gettito fiscale.
A valutare questo disegno di legge delega sulla carta, si prospetta una riforma epocale. Tra i principi e criteri direttivi indicati in delega uno in particolare è relativo all’eliminazione di micro-tributi per i quali i costi di adempimento dei contribuenti risultino elevati a fronte di un gettito trascurabile per lo Stato e trovando le opportune compensazioni di gettito nell’ambito dell’attuazione della legge delega stessa. A chi scrive, come alla maggior parte degli italiani che amano comprarsi il mattone, interessa particolarmente l’articolo 5 che merita attenzione perché prevede, fra le altre riforme, la razionalizzazione delle imposte indirette sulla produzione e sui consumi, ossia le accise e gli oneri impropri presenti nella bolletta elettrica. E questa è una questione importantissima, visti i costi insostenibili con accise imposte vere e proprie. Non è chiaro se questa disposizione includa anche l’imposta di registro, che difficilmente può essere qualificata come un’imposta sulla produzione e sui consumi, dato che al contrario deve essere qualificata come una imposta d’atto perché dovuta su determinati atti giuridici. Ma se c’è un’imposta che merita di essere riformata e ha bisogno di manutenzione straordinaria, questa è proprio la bistrattata imposta di registro. Si tratta di razionalizzare la Tariffa allegata alla legge del 1986, eliminando le contraddizioni, le discrepanze e le iniquità, dovute a mal realizzati interventi modificativi che si sono stratificati e succeduti nel tempo. Il DPR del 131/1986, che disciplina l’imposta di registro, prevede due diverse modalità di determinazione dell’imposta dovuta in funzione della tipologia dell’atto che deve essere registrato. L’imposta dovuta è infatti determinata in misura fissa o in misura proporzionale, secondo quanto risulta indicato nella tariffa allegata. Quando l’imposta è determinata in misura fissa, l’importo dovuto è fissato dalla legge a prescindere dal valore dell’atto; al contrario l’imposta proporzionale è determinata applicando al valore dell’atto l’aliquota indicata dalla legge.
In generale, un’imposta non è altro che il prodotto di una moltiplicazione tra la base imponibile e l’aliquota e mentre l’aliquota è determinata con criteri sostanzialmente arbitrari e discrezionali (anche se la dottrina raccomanderebbe che questi criteri fossero determinati in maniera razionale entro i vincoli costituzionali e secondo logica economica), la base imponibile dovrebbe invece essere sempre ancorata alla consistenza economica del presupposto, alla manifestazione di ricchezza effettivamente legata a questo presupposto, da cui si intende prelevare l’imposta. Altrimenti si violerebbe il principio della capacità contributiva, tassando in realtà una ricchezza inesistente e in quest’ultima ipotesi l’imposta cagionerebbe un rilevante danno al patrimonio del contribuente al quale si imporrebbe ugualmente il pagamento del quanto dovuto. L’imposta colpisce (o dovrebbe colpire) pur sempre il valore dell’atto, perché preleva una parte della ricchezza che l’atto è in grado di rivelare, a prescindere dal tipo di atto di cui si tratta, cioè dalla forma o dal suo contenuto giuridico. Ciò che conta è il contenuto economico dell’atto. L’atto di trasferimento di un diritto reale come la proprietà o di un diritto personale (come può essere ad es. la cessione di un credito o la concessione del godimento di un bene come nel caso della locazione) va qualificato in termini tributari non per gli effetti giuridici che produce ma per la forza economica che esprime e come tale deve essere valutato in termini economici, deve essere cioè determinata la sua consistenza economica patrimoniale perché è su questa che opera il prelievo tributario. L’imposta non deve creare distorsioni nel comportamento dei contribuenti, e falsare le decisioni economiche di imprese, lavoratori e consumatori, a cominciare dal fatto che non deve scoraggiare dal porre in essere l’atto stesso, che sarebbe pure controproducente per il fisco, se l’imposizione fosse configurata in maniera da indurre i contribuenti a rinunciare a compiere l’atto.
In generale il sistema fiscale è neutrale se le decisioni economiche sono assunte in base alla loro convenienza economica e non per ragioni fiscali. Sebbene non sia da escludere che un medesimo evento possa essere valutato dalla norma tributaria in modo difforme che di esso può dare una differente norma ad altri fini, si deve ancora aggiungere che la libertà del legislatore di conformare il tributo non è senza vincoli limiti e divieti posti nella Costituzione e non solo in essa. La tariffa allegata al DPR 131/1986 contiene sia la predeterminazione dell’imposta di registro in misura fissa sia le aliquote dell’imposta in misura proporzionale. Le diverse fattispecie cui si applica e la misura fissa e le aliquote previste in caso di imposta proporzionale, evidenzia disparità di trattamento, incongruenze e discriminazioni ingiustificabili e incomprensibili.
L’imposta di registro è un’imposta d’atto che mira a colpire il valore economico dell’atto soggetto a registrazione. Questo atto generalmente costituisce un atto di scambio. Quindi almeno in teoria la forma e gli effetti giuridici che si producono tra le parti sul piano civilistico non dovrebbero essere rilevanti sul piano tributario se non nella misura in cui siano utili ad accertare il valore economico (dell’atto) dello scambio. L’imposta mira a prelevare una frazione della ricchezza che “si trasferisce” con l’atto. L’unico elemento rilevante dal punto di vista del diritto tributario è o dovrebbe essere unicamente la manifestazione di ricchezza inerente all’atto da registrare la qualificazione giuridica di questo atto secondo il diritto privato, dovrebbe essere irrilevante al fine quanto meno di determinare la base imponibile dell’imposta.
Si tratta di perorare un intervento ortopedico della tariffa più che un’opera di riscrittura del testo del DPR, provvedendo all’eliminazione delle discriminazioni quantitative e qualitative tra situazioni economicamente uguali. Il testo del disegno di legge delega DRAGHI pone la crescita economica, la semplificazione del sistema tributario e la progressività del sistema stesso come principi ispiratori della riforma. Il testo immagina che la riforma possa disegnare a regime un sistema duale di imposizione all’interno del quale l’Irpef vedrebbe ridotte le aliquote medie effettive e la variabilità delle aliquote marginali e potrebbe stabilizzarsi su il 25% per tutti come prevedeva già 4 anni fa una proposta dell’Istituto Leoni che paventava già ciò che l’ipotesi di delega prevede e cioè il riordino delle spese fiscali e l’armonizzazione della tassazione del risparmio. Così dicasi per quanto riguarda la tassazione di impresa, il riavvicinamento dei valori civilistici a quelli fiscali e l’abolizione dell’Irap che sono obiettivi condivisibili appunto così come il tendenziale spostamento del carico fiscale dalla imposizione diretta alla indiretta. Sarebbe veramente disdicevole perdere l’occasione di questa ennesima riforma fiscale per correggere distorsioni, discriminazioni e ingiustizie.
Alessandra Servidori