Il lavoratore, addetto al trasporto pubblico, informa l’azienda che il Tribunale di sorveglianza a seguito di una sentenza di patteggiamento ( per avere compiuto reiteratamente atti persecutori, minacce e molestie nei confronti del coniuge separato), aveva disposto nei suoi confronti l’affidamento in prova ai servizi sociali con obbligo di rincasare presso la propria abitazione entro le 22:00 nonché di non uscire prima delle ore 7:00.
L’azienda dopo avergli contestato che il suo comportamento sanzionato dalla sentenza penale costituiva violazione di specifiche norme di legge del settore dei trasporti pubblici e del regolamento etico interno, gli comunicava il licenziamento per giusta causa. Il lavoratore impugnava la sua destituzione dal rapporto di lavoro e si rivolgeva al Tribunale di Roma che riteneva tardiva l’impugnazione con la conseguente decadenza dall’azione giudiziaria
La Corte di Appello di Roma, però, ha ritenuto tempestiva l’impugnazione del licenziamento ma, considerati fatti oggetto della sentenza di patteggiamento e la violazione da parte del lavoratore del regio decreto 148/1931 che disciplinava il rapporto di lavoro, ha ritenuto legittima la destituzione per essere stata definitivamente compromessa la fiducia del datore di lavoro nell’esecuzione della prestazione lavorativa diligente ed equilibrata nel rapporto con i fruitori del trasporto pubblico.
La sentenza è stata impugnata in Cassazione dal lavoratore sostenendo, tra gli altri motivi, che ” la sentenza di patteggiamento, in sede penale, tecnicamente non è configurabile come una pronuncia di condanna”.
La Corte di Cassazione ha respinto il motivo del ricorso ed ha ribadito che “la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., pur non configurando una sentenza di condanna, presuppone comunque una ammissione di colpevolezza, sicché esonera la controparte dall’onere della prova e costituisce un importante elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda discostarsene, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione.” (Sentenza Cassazione civile sezione lavoro numero 24.140 pubblicata il 9 settembre 2024).
Biagio Cartillone