Due livelli di contrattazione, partecipazione dei lavoratori, una comune attenzione alle esigenza di trovare nuova produttività, un sistema di crescita retributiva armonizzata secondo le diverse esigenze. Sono questi gli elementi di un sistema negoziale semplice quanto efficace che il settore ha messo a punto in un protocollo firmato da tutte le parti sociali nel mese di luglio. Alfredo Pasquali, assistente per le relazioni industriali del presidente di Confindustria Energia, ritiene che questa sia la giusta via per uscire dall’antagonismo che impera ancora nei diversi sistemi messi a punto in questi mesi.
Pasquali, prima l’accordo interconfederale di fine giugno, poi l’articolo 8 del decreto del governo. Una serie di interventi sul sistema della contrattazione. Condividete queste indicazioni?
Da questi diversi interventi emerge evidente il disegno generale di una chiara strategia atta a depotenziare la contrattazione di settore a favore di quella di secondo livello.
Un’indicazione che condividete?
Mi sembra che la deriva fondamentale di questo sforzo sia ancora quella di un modello antagonista, che cerca di ridurre gli attriti, ma non li elimina mai. Si resta ancorati al presupposto che la contrattazione sia un vincolo e non uno strumento di crescita. Noi cerchiamo qualcos’altro.
Avete idee diverse?
Il settore dell’energia, per il ruolo che ha, per la sua struttura industriale, vede con favore la coesistenza di due livelli contrattuali, crede che in questo modo sia possibile realizzare incrementi di produttività. Questo è il nostro obiettivo e riteniamo che anche al livello di settore, con i contratti nazionali validi per tutti indistintamente, sia possibile realizzare proficui scambi tra le parti sociali.
Avete già un progetto?
Ci stiamo lavorando da tempo. Il 18 luglio abbiamo firmato con le federazioni di settore che aderiscono a Cgil, Cisl e Uil un protocollo che contiene le linee guida per la definizione di un modello contrattuale proprio del settore dell’energia.
Che prevede questo protocollo?
Il principio di fondo è che aumenti di produttività, e quindi di competitività, si realizzano con un sistema contrattuale basato su due livelli ben definiti nelle loro competenze, che non lascino zone grigie. E realizzando un sistema di partecipazione dei lavoratori attraverso strumenti semplici ed efficaci, funzionali agli obiettivi. In parallelo, serve un sistema di crescita salariale che consenta di dividere i proventi dell’incremento di produttività senza creare frizioni.
Come deve essere strutturato questo sistema salariale?
Deve rispondere a cinque esigenze fondamentali che abbiamo individuato nel protocollo. Crediamo infatti che la crescita retributiva debba difendere il potere di acquisto dei salari, ma allo stesso momento apprezzare il contenuto individuale, prevedere una effettiva variabilità dei premi, rispondere alle aspettative individuali, se oggettivamente fondate, e infine assicurare un controllo della dinamica dei costi complessivi. Solo in questo modo, con una crescita che tenga conto di questi elementi riteniamo che si possa avere una crescita retributiva compatibile che assecondi e favorisca la ricerca di produttività.
Cosa altro prevede questo protocollo?
C’è un impegno preciso delle parti a ritrovarsi per risolvere il problema della raffinazione.
Su quali basi?
Devono ancora essere individuate, sarà questo l’oggetto di nuove trattative, che partiranno, è scritto nel protocollo, già il 13 settembre.
Avete urgenza?
Ce lo impone la crisi, ma questa necessità non deve andare a scapito del disegno complessivo.
I sindacati confederali si stanno di nuovo dividendo. Questo vi può creare dei problemi?
Noi siamo convinti che la strada che concilia i diversi momenti di contrattazione sia obbligata. E i sindacati del settore, tutti, ne sono perfettamente consapevoli, tanto è vero che hanno condiviso i principi del protocollo., Questo ci fa sperare che al momento delle trattative si possa procedere velocemente verso un accordo.
Il modello contrattuale che state mettendo a punto è esportabile verso altri settori?
Può essere di sì, ma non è questo il nostro obiettivo. A noi interessa che cresca la produttività e date le caratteristiche del nostro settore riteniamo che l’equilibrio tra il livello nazionale e quello decentrato sia il modello più indicato. Magari altri settori hanno esigenze diverse, ognuno si costruisce gli strumenti che gli sono necessari. Del resto, parliamo tutti dell’esigenza di avere maggiore flessibilità, questa deve potersi applicare anche al modello contrattuale negoziale. Poi ogni settore ha la sua storia, dove c’è molta conflittualità forse serve più rigidità.
Nel settore energia tutte le aziende praticano la contrattazione di secondo livello.
Sì, da anni. Ma serve sempre un collante su alcuni temi di carattere generale, su cui le imprese non hanno alcun interesse a farsi concorrenza.
Massimo Mascini