Il recente dibattito, sulla proposta di legge popolare promossa dalla CISL sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, ha riaperto una antica discussione che contrappone tale partecipazione al conflitto sociale e in qualche modo alla contrattazione collettiva ad esso collegato.
Credo questa contrapposizione sia del tutto sbagliata sul piano teorico, storico, e su quello fattuale.
Mi dispiace che forze sociali, rappresentative e di lunga tradizione, siano favorevoli, giustamente, all’applicazione dell’art. 39 Cost., sulla misurazione della rappresentanza delle OOSS in relazione al diritto di sottoscrivere contratti collettivi validi erga omnes e, di fatto, non lo siano per l’applicazione dell’art.46 Cost, relativo alla partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa.
Che tale opposizione venga da Confindustria lo trovo, magari desueto culturalmente, ma per parafrasare una espressione alquanto abusata “Ogni Paese ha il capitalismo che si merita”.
Procediamo con ordine.
Perché la contrapposizione tra partecipazione e conflitto sociale è sbagliata sul piano teorico?
Per un motivo semplice: i soggetti dell’uno sono diversi dai soggetti dell’altro. I lavoratori sono i soggetti della partecipazione alla gestione dell’impresa, I sindacati sono i soggetti (collettivi) della gestione del conflitto sociale per il tramite della contrattazione collettiva.
Fare confusione tra questi due ruoli è un errore molto grave, che può condurre a superficiali valutazioni, molte delle quali ho letto in questi giorni tra i sostenitori della partecipazione contro il conflitto e i sostenitori del conflitto contro la partecipazione, ambedue questi schieramenti non hanno, a mio parere capito nulla del primo e nulla del secondo termine di questa discussione.
Mi permetto solo di evidenziare che in Germania, dove la partecipazione dei lavoratori ha raggiunto livelli istituzionali elevati e radicati, la “mitbestimmung” dei lavoratori nel Consiglio di sorveglianza in Wolkswagen, non ha per nulla impedito, anzi, la proclamazione dello sciopero pìù cruento degli ultimi 40 anni di storia sindacale da parte dell’IGMetall (sindacato), contro l’ipotesi di chiusura degli impianti tedeschi.
La contrapposizione è sbagliata sul piano storico.
Basti pensare ai Comitati di Gestione che nel secondo dopoguerra si erano diffusi specialmente nelle fabbriche del Nord Italia. Vorrei ricordare che tali Comitati erano stati istituiti dalla R.S.I. (Repubblica Sociale Italiana) con l’obiettivo di dare una rinfrescata sociale al moribondo regime fascista.
La disposizione che promosse tali Comitati fu l’unica disposizione, ereditata del precedente regime, che il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) non abrogò alla caduta del regime stesso.
Anzi, nell’immediato dopoguerra, la discussione in questi Comitati (due Congressi nazionali uno a Milano e uno a Torino) fu alla base del dibattito in sede di commissione dell’Assemblea Costituzionale, per la redazione dell’art. 46 Cost. (si confrontino sul tema gli interventi di Giuseppe Di Vittorio).
Inoltre tale esperienza fu presa a riferimento dal deputato socialista Rodolfo Morandi per la stesura di un progetto di legge sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa.
Progetto che non fu mai attuato grazie all’opposizione sia delle forze politiche conservatrici sia della parte più “rivoluzionaria” del PCI.
La contrapposizione è sbagliata sul piano fattuale. Il conflitto sociale non viene sminuito da esperienze di partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, per il semplice motivo che quel conflitto è espressione di interessi divergenti riguardanti la tutela degli interessi collettivi interni al sistema di produzione dei beni e servizi, mentre la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa presuppone una condivisione dei valori fondanti dell’impresa per la sua sopravvivenza e il suo sviluppo, aggiungo che questa condivisione prescinde dall’assetto societario, pubblico o privato dell’impresa stessa.
Personalmente, per questi temi, alla lettura di Albert Camus, preferisco ancora quella di Giulio Pastore e Giuseppe di Vittorio.
Luigi Marelli