Sembra tornare in auge l’idea di una “partecipazione” del lavoro all’attività delle imprese. Sarebbe ora di riaffrontare il tema, dopo decenni di distrazione. Evitando, se possibile, di ripercorrere l’intero dibattito che si produsse negli anni 90, dopo i primi accordi e le prime esperienze partecipative, mai diventate norme di legge (malgrado l’esplicito richiamo costituzionale) e nemmeno dettati contrattuali (nonostante tutte le esperienze partecipative italiane siano firmate tra imprese e sindacati).
La prima cosa da evitare, a mio parere, è di affrontare la materia immaginando di riprodurre in Italia pari pari le esperienze tedesche e dei paesi del Nord Europa. Per due motivi. Il primo che in Italia vige il sistema unico di rappresentanza del lavoro su base sindacale. In quei Paesi, invece, il doppio sistema prevede che negli organismi di partecipazione entrino i rappresentanti dei lavoratori, mentre i rappresentanti sindacali mantengono, senza alcuna relazione con i delegati dei lavoratori, il ruolo di soggetto contrattuale. Il secondo motivo è che la partecipazione dei lavoratori si esercita essenzialmente in organismi di controllo che “vigilano” sulle scelte dei consigli di amministrazione. Un po’ come succede anche da noi all’Inps e all’Inail nel rapporto tra Consigli di amministrazione e Consigli di vigilanza, seppure da noi costituiti da rappresentanti sindacali. Controllano e vigilano ex post ma non decidono o co-decidono ex ante.
Perché è necessaria una maggiore partecipazione del lavoro all’attività delle imprese? Non per ridurre la conflittualità, come spesso si è detto (sia da parte delle imprese che da parte sindacale). Ma perché l’instabilità dei mercati necessita spesso di un adattamento efficace del sistema di produzione in termini di quantità, qualità, tecnologie, tempi di realizzazione e quindi orari, produttività, competenze necessarie, da un lato. Dall’altro perché le condizioni di lavoro e di produzione hanno ormai una tale ricchezza di problematiche che è meglio affrontarle con criteri di valutazione preventiva dei possibili effetti. Anche per evitare le morti sul lavoro, l’inquinamento nel territorio, il distacco “culturale” tra i giovani e il lavoro, gli autolicenziamenti.
Affrontare questi problemi prima che divengano incontrollati e subiti dai lavoratori, nel nostro sistema di rappresentanza sindacale a canale unico significa organizzare prima di tutto istruttorie congiunte (azienda e sindacati) a partire dai luoghi fisici di lavoro, dai reparti di produzione, non dai vertici decisionali dell’azienda. Anche per evitare che approcci e intese al vertice possano determinare incomprensioni o, peggio ancora, inibizione della funzione contrattuale dei rappresentanti sindacali di base. Al contrario, se si sperimentano momenti di coinvolgimento di tutte le competenze sugli impianti, nei magazzini, negli uffici, sarà più facile attuare esperienze di relazione positiva anche ai livelli strategici di informazione e scelta dell’impresa.
Mi sembra sia questo il caso del sistema Electrolux Italia che, assieme al sindacato Fim, Fiom, Uilm ha prodotto il “Testo Unico di Partecipazione” nel 1995. Un testo che per competenza e precisione è ancora oggi un riferimento, forse il più completo mai realizzato nel nostro Paese. Sarebbe sbagliato tentare di riassumere i tanti articoli che regolano il sistema a livello nazionale e dei numerosi stabilimenti del Gruppo. Un sistema, tra l’altro, commentato più volte dai massimi protagonisti sia sindacali che delle imprese (cfr. i diversi numeri di Lavoro e Informazione del ’96 e ’97). Ci sembra utile però richiamarne i principi di fondo condivisi dalle parti e gli strumenti adottati per realizzarli.
Il punto di partenza mi pare stia nell’idea che la partecipazione non serve a nascondere i conflitti (tra “operai e capitale” come si diceva un tempo) tantomeno ammorbidire le dinamiche contrattuali. Quanto, al contrario, rendere le relazioni sindacali e la contrattazione più rapide ed efficaci. Se esistono problemi complessi da affrontare e risolvere derivanti dall’impiego del lavoro in imprese che devono essere più flessibili delle tradizionali imprese metalmeccaniche fordiste-tayloriste. Se esistono scorciatoie che vanno a danno dei diritti e della dignità del lavoro e anche dell’impresa visto che riducono la disponibilità dei lavoratori a esprimere le loro conoscenze e le loro competenze. Questi problemi vanno affrontati con l’idea di risolverli non di contenerli su sponde separate. Perché non sono problemi astratti: si tratta di capire ad esempio come rendere compatibili flessibilità degli orari di lavoro in più o in meno di ciò che è previsto dai contratti, con una retribuzione adeguata anche a questa flessibilità regolata; si tratta di tutelare maggiormente la sicurezza di chi lavora, garantire la parità di genere, la formazione necessaria, il riconoscimento giusto delle competenze e molto altro. Fino a occuparsi delle condizioni e della qualità dei servizi di mensa. In sostanza, evitare la contrapposizione automatica, per scarsa conoscenza di un tema, favorendone invece una comune esplorazione. Ecco perché il Testo Unico Electrolux prevede la creazione di gruppi paritetici di lavoro su ciascuno dei temi individuati (tre delegati e tre rappresentanti dell’azienda) cui viene affidato il compito di svolgere un’istruttoria, individuare soluzioni al problema e trasmettere il loro lavoro all’azienda e ai sindacati. Mantenendo tre principi fondamentali di comportamento nella loro attività: la riservatezza, l’unanimità di decisione, la “buona fede” più volte richiamata nel Testo. Questo lavoro impegnativo e vario negli stabilimenti, consentiva di preparare piattaforme ricche di contenuti e trattative trasparenti e partecipate erga omnes, nonché di concludere la fase di contrattazione (sempre in forma partecipata e trasparente) in tempi rapidi.
Non si deve credere da questo che il sistema di partecipazione Electrolux sia nato dalla pratica quotidiana nei reparti e poi diventato un accordo generale di Gruppo. Il contrario, invece. L’azienda e i sindacati nazionali hanno definito un progetto innovativo delle relazioni sindacali e l’hanno sperimentato a tutti i livelli. Con gli stessi principi della riservatezza e della buona fede, anche a livello nazionale si affrontavano in maniera paritetica tra sindacati e impresa le dinamiche dei mercati in corso e le strategie da adottare. Un caso esemplare in questo ambito è l’esperienza circa la volontà del gruppo multinazionale di ridurre la produzione di lavatrici chiudendo uno degli stabilimenti europei. È noto che Electrolux Italia, preso atto della decisione svedese, ha convocato i sindacati, ha esposto il tema secondo i principi di scambio delle informazioni strategiche del Testo Unico della Partecipazione e di lì sono derivate le scelte da compiere negli stabilimenti italiani per migliorarne l’efficienza. Alla fine fu chiuso uno stabilimento in Germania.
In ogni caso, quello Electrolux è un sistema complesso, soprattutto per la sua diffusione e articolazione, che ha prodotto anche ostilità interne tra le segreterie nazionali Fim, Fiom, Uilm e alcune rappresentanze sindacali di azienda. La dialettica è proseguita per diversi anni ma sempre nella trasparenza e nel confronto tra le diverse posizioni.
A combinare le regole previste e i comportamenti reali, per evitare che la dialettica producesse un caos di comportamenti spontanei, il sistema partecipativo Electrolux prevedeva la costituzione di un Comitato Nazionale di Garanzia che (sempre all’unanimità) valutava la correttezza dei comportamenti ed eventualmente decideva sanzioni per chi aveva violato le regole. Il Comitato era presieduto dal prof Luigi Mariucci e le pratiche venivano istruite dal prof Adalberto Perulli, entrambi giuristi noti per la loro vicinanza alle problematiche del lavoro. Una soluzione che si è rivelata lungimirante e che ha ridotto le tensioni pur non prendendo mai decisioni pesanti anche nei confronti di chi aveva (avvertitamente o inavvertitamente) violato le regole della partecipazione, sia da parte sindacale che aziendale.
Insomma, complessivamente una esperienza di grande innovazione che ha dimostrato di funzionare bene nel governo di problemi complessi. Resta da chiedersi perché questa buona pratica non si sia diffusa in altri gruppi industriali italiani o in imprese di dimensioni medie. O almeno, perché non si conoscano esperienze simili di “cooperazione” fra sindacato e imprese per rendere più valorizzato il lavoro e più efficienti e, diremmo oggi, più sostenibili le imprese. Forse perché ormai l’industria manifatturiera non ha più il peso assoluto e nemmeno la funzione di indirizzo all’interno del sistema contrattuale che aveva negli anni 90. Forse perché la contrattazione di secondo livello, la più adatta a trattare questi temi ha perso ruolo. Forse perché la precarizzazione del lavoro, la “liquidità” delle sedi di produzione di merci e servizi, i rider, il lavoro agile, rendono più difficile, se non impossibile, riproporre i criteri della partecipazione tra impresa e lavoro.
Ma nemmeno in Elettrolux Italia quel sistema è più in vigore, ormai da anni: trascurato da impresa e sindacato. Allora è obbligatorio pensare che si sia persa anche una parte della cultura delle relazioni sindacali degli anni 90. Quindi ben venga un rilancio di quelle tematiche, purché non si traccino scorciatoie improvvisate confondendo la partecipazione sull’organizzazione del lavoro e della produzione con l’ingresso (di chi?) nei consigli di amministrazione.
Gaetano Sateriale