“I Ministri passano, i Direttori generali restano.” Recita così un vecchio adagio relativo al rapporto tra potere politico e burocrazie ministeriali. Parafrasandolo, e adattandolo a un certo tipo di imprese capitalistiche, quelle basate su un forte nucleo proprietario, si potrebbe dire, al contrario, che i manager passano, ma l’azionista resta. O almeno, questo è il pensiero che può essersi formato nella mente di un osservatore considerando quanto è accaduto ad Amsterdam venerdì 14 aprile. Nella capitale olandese si sono infatti riunite, in sequenza, le assemblee delle tre società del settore autoveicoli che fanno capo a Exor, la holding di casa Agnelli: prima Cnhi, poi Fca e, infine, Ferrari. E alla fine della giornata, si è avuta l’impressione che, in un certo senso, sia cominciato, almeno per quanto riguarda Fca, il dopo-Marchionne.
Ad Amsterdam – dove le tre società, tutte quotate in Borsa, hanno sede a causa di una scelta fatta, a suo tempo, per motivi essenzialmente fiscali – John Elkann e Sergio Marchionne sedevano fianco a fianco. Il secondo, il manager, è Amministratore delegato di Fca e Presidente sia di Ferrari che di Cnhi. Mentre il primo, oltre ad essere Presidente di Fca, è Presidente e Amministratore delegato di Exor, l’azionista di riferimento delle tre società.
E allora perché parlare adesso di dopo-Marchionne? In realtà, il manager dei Due Mondi ha annunciato già da tempo che quando avrà portato a termine il piano industriale quinquennale, che va dal 2014-2018, lascerà la guida della società automobilistica da lui fondata, Fca. Il che significa, in pratica, che dovrebbe lasciare il vertice del gruppo nella primavera del 2019, quando avrà presentato i risultati del 2018 e, con essi, quelli del piano. Ma ha fatto un certo effetto sentire il quarantunenne Elkann dire ufficialmente che “lavoriamo con Sergio e con tutto il Consiglio di amministrazione per individuare la persona giusta” con cui sostituire il quasi sessantacinquenne Marchionne. Il quale ultimo ha aggiunto che, rispetto alla scelta del suo successore, “John ed io facciamo lunghe discussioni. Ci sono ancora due anni, ma ce ne stiamo già occupando”.
Chi sarà il prescelto? Ancora non si sa, né vi sono indizi in merito. L’unica cosa abbastanza certa è che la ricerca del futuro Ceo di Fca dovrebbe orientarsi verso una “risorsa”, come si dice in aziendalese, interna al gruppo. “Abbiamo numerose persone che si candidano per questa posizione – ha detto ancora Marchionne – e cercheremo di fare la scelta giusta.”
A quanto si è capito, le tre assemblee sono state tutte piuttosto veloci. Espletamento degli adempimenti societari annuali a parte, non hanno prodotti particolari novità, né informazioni inedite. Nel senso che i risultati annuali delle tre società del gruppo Exor erano in gran parte già noti. Nonostante la collocazione dell’appuntamento a ridosso del weekend di Pasqua, e quindi in una datazione un po’ nascosta, Elkann e Marchionne hanno scelto di usare la circostanza per inviare tre messaggi. Oltre alla rassicurazione, indirizzata gli azionisti, sul fatto che il vertice di Fca lavora “con grande serietà” e in perfetto accordo col vertice di Exor nella ricerca di un successore del suo celeberrimo Amministratore delegato.
Primo: (per ora) niente alleanze. Come è ampiamente noto, fin dal 2008 Marchionne ha sostenuto la tesi che il numero di grandi costruttori di automobili attivi a livello mondiale avrebbe dovuto necessariamente ridursi. Parallelamente, i grandi costruttori superstiti avrebbero dovuto accrescere le proprie dimensioni allo scopo di poter sostenere gli investimenti necessari per reggere alla competizione globale. Una crescita dimensionale da realizzare attraverso alleanze, per non dire fusioni, tra aziende diverse.
Marchionne, dopo aver fallito nel 2009 una progettata fusione con la Opel, è riuscito a realizzare quella tra Fiat e Chrysler, da cui è nata Fca, e poi ha annunziato che vedeva di buon occhio un’ulteriore fusione tra Fca e General Motors. Una proposta, quest’ultima, respinta al mittente dal Ceo di Gm, l’inscalfibile Mary Barra. Ebbene, ad Amsterdam Marchionne ha detto che, almeno nei tempi di realizzazione del piano quinquennale, quello di un’ulteriore crescita – via fusioni – di Fca, è “un sogno ormai irrealizzabile”.
A sostegno del manager è intervenuto lo stesso Elkann il quale ha riconosciuto che “concettualmente la tesi del consolidamento”, ovvero della crescita via fusioni, è “valida”, osservando anche che “nessun concorrente l’ha messa in discussione”. Ma ha poi ribadito che “eventuali alleanze” sarebbero positive solo se rafforzassero “la nostra organizzazione”. E che, in mancanza di interlocutori, per adesso non se ne parla.
Secondo: portare a compimento il piano industriale. In assenza di nuove possibili fusioni, l’obiettivo strategico perseguito con tutte le sue forze da Marchionne è quello di raggiungere gli obiettivi del piano quinquennale 2014-2018 entro i tempi prefissati. Obiettivi il cui scopo principale è quello di azzerare il debito che grava su Fca. Nel 2016, è sceso di 500 milioni di euro, calando fino al livello di 4,6 miliardi. Il che significa, a occhio e croce, che qui c’è ancora parecchia strada da fare.
A parte questo, il 2016 è stato dipinto, nella lettera indirizzata agli azionisti da Presidente e Amministratore delegato di Fca, come un “anno record” da un punto di vista finanziario. L’utile netto adjusted è salito del 47%, fino a raggiungere i 2 miliardi e mezzo di euro. “Indimenticabile” è poi stato definito l’anno finanziario 2016 di Ferrari, con un utile cresciuto fino a 425 milioni di euro. Quanto a Cnhi, utile netto a 180 milioni di dollari. Cifre a parte, l’idea è che entro il 2018 tutte e tre le società siano in grado di remunerare gli azionisti.
Terzo: accordi tecnologici. In gennaio, a Las Vegas, Fca aveva esibito il concept della Chrysler Portal, un minivan elettrico semi-automatico. Mentre già nel 2016 era stata annunciata una collaborazione con Google rispetto al progetto di auto a guida automatica della compagnia di Mountain View. Ebbene, scrive Teodoro Chiarelli sulla “Stampa” di sabato 15 aprile, archiviato, almeno per ora, il discorso di una grande alleanza globale, Fca “punta a realizzare singoli accordi industriali per sviluppare determinate componenti o realizzare progetti mirati”. In particolare, lo stesso Marchionne, ad Amsterdam, ha detto che “potremmo annunciare entro l’anno un accordo importante nelle nuove tecnologie”. Aggiungendo poi che “è questo l’obiettivo principale a cui sto lavorando ora.”
Riassumendo, sospesa la strategia di un’ulteriore crescita dimensionale, Marchionne punta, da un lato, a raggiungere, prima di lasciare il vertice di Fca, gli obiettivi di quello che lo stesso Elkann ha definito “l’ambizioso piano di Sergio”; dall’altro lato, e nel frattempo, punta a impostare e concludere specifici accordi con compagnie della Silicon Valley (tipo Google, ma, eventualmente, anche Apple) volti a incrementare la capacità di Fca di ritagliarsi un ruolo significativo nel processo di trasformazione dell’attuale prodotto-auto nella cosiddetta auto del futuro.
In parallelo, Elkann ha voluto rassicurare gli azionisti delle tre società: gli affari stanno andando bene, la successione di Marchionne sarà indolore. A questo punto, sorgono però un paio di interrogativi. Cosa sarà la Fca del dopo-Marchionne? E quest’ultimo, cosa farà dopo aver lasciato il vertice di Fca?
Cominciamo dal primo interrogativo. Che può essere riformulato così: posto che Marchionne riesca veramente ad azzerare il debito che grava su Fca, e posto che, per conseguenza, il valore delle azioni della stessa Fca salga rispetto a quello attuale, cosa vorrà farne l’azionista di riferimento, ovvero John Elkann? Per adesso, è quasi impossibile rispondere a questa domanda. Si può congetturare sul fatto che, a quel punto, da un lato Fca dovrebbe avere in Borsa, come si è detto, un valore più alto di oggi; mentre, dall’altro, al suo vertice non ci sarebbe più una figura dotata del peso che Marchionne ha acquisito, dal2004 aoggi, nel mondo dell’auto. In parole povere, si può ipotizzare che Elkann potrebbe essere tentato dall’idea di rilanciare in proprio la strategia della crescita dimensionale, partendo da una posizione finanziariamente più attrattiva, ma anche managerialmente meno carica di una personalità forte. Oppure, potrebbe essere tentato dall’idea di puntare, più che a una fusione guidata, a una vendita di Fca che portasse nelle casse di Exor significative risorse finanziarie da impiegare altrimenti. Ma certo, l’idea di un discendente di casa Agnelli che si libera della società costruttrice di automobili in cui continua a vivere l’anima della Fiat è difficile da immaginare.
E veniamo al secondo interrogativo. Che farà di sé Marchionne dopo il 2018? Qui un paio di indizi sono disponibili. Il primo consiste nel fatto che, come già ricordato, il manager italo-canadese è Presidente di Ferrari. E tutto lascia credere che non abbia nessuna intenzione di lasciare già tra un paio d’anni la guida della casa di Maranello che, tra l’altro, proprio da lui è stata pilotata in Borsa nel 2016. E tanto più adesso che, a parte gli ottimi risultati industriali e finanziari della Rossa, le cose cominciano ad andare di nuovo bene anche sulle piste della Formula 1.
Il secondo indizio, invece, anche se ancora piuttosto labile, lo si può trovare in un altro spezzone di frase pronunciato ad Amsterdam. Dove, parlando dell’impegno messo nella ricerca del suo successore al vertice di Fca, Marchionne ha detto, come si è già visto, che “cercheremo di fare la scelta giusta”. Soggiungendo poi: “Sapete che io investo in questa società. Ci tengo a che i risultati ci siano.”
Insomma, il futuro potrebbe riservarci una divertente inversione dei ruoli. Con John Elkann che, da Presidente di una Fca dotata di un Ceo meno autorevole di Marchionne, dovrà impegnarsi nella sua guida con un impegno più ravvicinato. E con un Marchionne che, da azionista del Gruppo, sarà pronto a far sentire la sua voce in merito alle scelte strategiche che – via, via – dovranno essere assunte.
@Fernando_Liuzzi