La notizia è che Renata Polverini è stata espulsa lo scorso febbraio dall’Ugl. Ne era stata segretaria generale per molti anni, nei quali aveva sdoganato politicamente questo sindacato, fino allora tenuto dagli altri sindacati in quarantena. Era molto amata dal movimento, che aveva fatto crescere significativamente, ma evidentemente il feeling si è interrotto e anche bruscamente. Formalmente è stata messa fuori perché aveva assunto un ruolo di primo piano in una piccola associazione datoriale, la Isarco, e come dice il segretario generale dell’Ugl, Paolo Capone, in questa intervista a Il diario del lavoro, “lo statuto confederale non prevede deroghe al fatto che devi stare da una parte o dall’altra, se rappresenti i lavoratori non puoi rappresentare anche le imprese”.
In realtà, dietro c’è altro e, in particolare, il tentativo di Renata Polverini di assumere la guida dell’Ugl. Stando al racconto che ne fa Capone, nei mesi scorsi Polverini avrebbe tentato di sostituire il segretario generale sfiduciandolo. Per questo aveva provveduto a tessere un’ampia tela mettendo dalla sua la gran parte del sindacato. Ma a sfiduciare il segretario generale deve essere il Consiglio generale, organo del quale la Polverini faceva parte. Solo che il Consiglio può essere convocato dal segretario generale o da una maggioranza dei due terzi dell’organismo. “Percentuale, dice Capone, che lei non è riuscita a raggiungere”. Di qui la rottura e poi l’atto di espulsione. Certamente una rottura per il movimento.
Capone questi fatti hanno provocato traumi all’Ugl?
No, qualcuno l’ha seguita, ma solo pochi. Un segretario confederale su 13, nessuna struttura.
Adesso l’Ugl è più coesa?
Sì, possiamo riprendere il nostro cammino con libertà di analisi e di azione.
Vita complicata all’Ugl. Prima la forte opposizione interna con denunce e controdenuncia, occupazione delle sedi confederali e quant’altro, poi l’affaire Polverini.
Sì, ma adesso questo capitolo sembra chiuso del tutto. Certo, prima eravamo non dico deboli, ma certamente esposti. Era il momento giusto, ma il movimento ha retto. Ora ci riprendiamo la nostra libertà. Quando la Polverini era con noi l’Ugl era politicamente nell’area della destra, specificatamente molto vicina a Forza Italia.
E adesso invece?
Adesso abbiamo interlocuzioni politiche e sindacali con tutti, la sinistra, i 5 stelle, la destra, con cui abbiamo una più forte affinità.
Non avete un partito amico?
No, abbiamo tanti partiti amici. E questo volevamo, uscire da quella logica, essere più liberi.
Su quali problemi pensate di concentrarvi?
Per il momento il tema che ci interessa di più è quello della previdenza. Riteniamo che l’età pensionabile sia troppo alta. Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, dice che i conti non permettono altro, ma noi crediamo che se si separasse l’assistenza dalla previdenza, se le due voci di bilancio fossero divise, e l’assistenza fosse messa a carico dello Stato, tutto cambierebbe. E’ lo stesso ragionamento che si deve fare per i lavoratori immigrati.
Che c’entrano gli immigrati?
Sempre Boeri dice che i contributi di questi lavoratori immigrati servono per pagare le pensioni. Ma io penso ai 3 milioni di disoccupati, ai 2 milioni di neet, al milione di lavoratori sostenuti solo dagli ammortizzatori sociali. Se tutti questi lavorassero non ci sarebbe certo bisogno dei contributi degli immigrati.
Come guardate al tema dell’immigrazione?
Noi pensiamo che le istituzioni europee dovrebbero farsi carico di affrontare i problemi di Italia e Grecia per l’accoglienza e per il riconoscimento del diritto d’asilo. Ma soprattutto serve una politica per aiutare lo sviluppo dei paesi africani del Mediterraneo e della fascia sub sahariana. Solo così, con una crescita dell’economia locale i problemi possono risolversi.
Quello che sostiene Gentiloni.
Gentiloni si è preso l’onere di evidenziare i problemi, a partire dai rapporti con le Ong, non sempre trasparenti. E si è reso conto dell’impossibilità di un’accoglienza senza limiti. Anche noi abbiamo problemi, incombenti.
La crisi però si sta quanto meno allontanando.
Questo dicono i dati dell’Istat, che il paese sembrerebbe ricevere qualche segnale positivo.
Perché usa il condizionale?
Perché la percezione del mondo reale, le piccole imprese, i lavoratori dipendenti, quelli autonomi, i pensionati, è tutta diversa. E comunque l’occupazione non cresce.
Il governo vuole abbattere il cuneo fiscale per aumentare l’occupazione.
Ma se questi interventi non sono finalizzati ad aumentare la spesa delle famiglie non potranno produrre effetti positivi sull’occupazione. Incentivare l’occupazione quando non c’è maggiore domanda è esercizio inutile.
Draghi lo dice tutti i giorni.
Infatti è la politica salariale che va cambiata.
Ma voi lo dite ai vostri interlocutori?
Sì, ma l’ultima tornata contrattuale, compreso il lavoro pubblico, è andata in direzione opposta. E questo è fonte di grande preoccupazione.
Cosa si può fare?
Devono cambiare i parametri econometrici di Bruxelles, non possiamo essere così vincolati al pareggio di bilancio. E’ necessario uno shock, forte. Politiche dei redditi più audaci, investimenti pubblici nelle infrastrutture.
Serve più Stato nell’economia?
Assolutamente sì, il mercato non può determinare da solo il benessere di un paese.
E’ a rischio la coesione sociale?
Potrebbe esserlo. Oggi il sistema è sostenuto dal più forte ammortizzatore sociale che abbiamo, la famiglia. Assieme all’alto tasso di risparmio che ci caratterizza da sempre. Ma tutto ciò potrebbe finire presto se non si interviene adeguatamente. Il risparmio può finire, possono lasciarci i nonni, che hanno sostenuto le famiglie con le loro pensioni. E non resterebbe più nulla.
Come giudica i nostri imprenditori?
Penso ai capitani coraggiosi quando incontro quella che è la spina dorsale della nostra imprenditoria, i piccoli e medi imprenditori. Continuano nelle difficoltà a mantenere in piedi un sistema. Per sostenerli servirebbe meno burocrazia nei rapporti con la pubblica amministrazione, una tutela più forte in presenza di crediti inesigibili, una giustizia con tempi più certi.
Hanno il coraggio necessario?
Penso che per svolgere quotidianamente il loro lavoro serva molto coraggio, proprio per le difficoltà con le quali si confrontano. Serve coraggio per investire in innovazione.
Industry 4.0 rappresenta davvero una svolta?
Può esserlo, ma è un processo che va regolato, non solo subito. Devo dire che pensare a macchine che controllano macchine fa venire pensieri inquietanti. Il problema è che servirà meno manodopera.
Si arruola nel pacchetto dei pessimisti?
Temo che questa potrebbe essere la prima rivoluzione industriale che non porti nuova ricchezza. Comunque è un processo che non si ferma, i nostri competitori sono già più avanti. Ha fatto bene il ministro Calenda ad aprire un tavolo di interlocuzione con il sindacato per valutare gli effetti dell’innovazione tecnologica.
E’ finita l’epoca della disintermediazione? Ricominciate a parlarvi col governo?
Gentiloni si applica più di Renzi. Ma servirebbe qualcosa di più. E il sindacato deve capire che l’interlocuzione non deve diventare interdizione.
C’è questa tentazione?
Per questo dico che dobbiamo risolvere i problemi, non crearne.
Che rapporti ha l’Ugl con Cgil, Cisl e Uil?
Abbiamo rapporti non organici, ma continui. Ci confrontiamo ai tavoli contrattuali, nel dialogo con le istituzioni.
Non c’è più l’ostracismo di una volta?
No. Facciamo lo stesso mestiere.
Vi ritrovate nelle regole che Cgil, Cisl e Uil si sono date con Confindustria e le altre organizzazioni datoriali per la rappresentanza e la contrattazione?
Quelle regole tendono a rendere esclusivo il rapporto con Cgil, Cisl e Uil. Le parti si legittimano a vicenda, escludendo tutto il resto.
Come giudica il proliferare delle organizzazioni datoriali e quindi il numero dei contratti nazionali?
Si deve tenere nel conto che questo è un effetto, non la causa del fenomeno. Dietro ci sono regole troppo statiche nelle quali specie le piccole imprese non si ritrovano. Servirebbe un cambiamento, ma molto radicale.
Massimo Mascini