Pape Satàn, pape Satan Aleppe. Il demonio Pluto, “il gran nemico”, pronuncia “con la voce chioccia” l’oscura frase, che suona nello stesso tempo minaccia contro gli intrusi e appello al re della città di Dite. Gli studiosi non sono finora riusciti a mettersi d’accordo nell’interpretazione del verso che apre il settimo canto dell’Inferno. Alcuni sostengono che non abbia un significato preciso. Di certo, esprime lo sconcerto del “maledetto lupo” alla vista del mortale Dante che si aggira tra le anime dannate.
Umberto Eco scelse questa citazione della Divina Commedia come titolo di una raccolta delle rubriche, “La bustina di Minerva”, scritte per l’Espresso. Nell’introduzione del volume spiegò che le strane parole “confondono le idee e possono prestarsi a qualsiasi diavoleria”. A lui risultava “comodo” usarle per rimarcare la sconnessione e la natura liquida, con esplicito riferimento a Zygmunt Bauman, dei fatti che osservava e della società che descriveva.
Il grande semiologo rimarcava la crisi dello Stato e del concetto stesso di comunità, segnalando “un soggettivismo” che “ha minato le basi stesse della modernità” e indicando l’emergere di “un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada di ciascuno ma antagonista, da cui guardarsi”.
“Crisi delle ideologie e dei partiti: qualcuno ha detto che questi ultimi sono ormai dei taxi sui quali salgono un capopopolo o un capobastone che controllano dei voti, scegliendoli con disinvoltura a seconda delle opportunità che consentono e questo rende persino comprensibili e non più scandalosi i voltagabbana”, scriveva con triste lucidità.
Non si può che dargli ragione, guardando Luigi Di Maio seduto, compìto, compunto e partecipativo, alla destra del presidente del consiglio durante il dibattito a Palazzo Madama. L’ineffabile ministro degli Esteri ha abbandonato le confuse vesti di apprendista stregone, cultore del grande caos orchestrato da Beppe Grillo, e ora indossa gli eleganti panni di gran sacerdote della stabilità, convertito sulla via di Mario Draghi.
“Sono orgoglioso di essere italiano”, ha declamato quest’ultimo tra gli applausi dei senatori. Sa bene, l’ex presidente della Bce, quanto sia faticosa e impegnativa un’affermazione del genere. “L’Italia nella tempesta”, sancisce il Mulino con la copertina dell’ultima rivista. “La criticità del momento era già evidente quando scegliemmo questo titolo. Eppure, come dimostrano gli ultimi sviluppi, può sempre andare peggio”, spiegano i curatori.
Dettagliando così: “Ci ritroviamo di nuovo a seguire la scena politica che ha accompagnato tanta parte della Seconda Repubblica (mai nata), dopo che la Prima era stata respinta a furor di popolo: incertezza, irresponsabilità, mancanza di programmi, se non quelli che nei pensieri dei protagonisti dovrebbero limitare i danni al loro consenso elettorale. Chi ha beneficiato di questi mesi di opposizione chiede, a voce altissima, le urne; chi ha vivacchiato conia qualche slogan; mentre altri lanciano improbabili appelli dell’ultima ora per una rinnovata solidarietà nazionale. Nel frattempo, l’uomo della Provvidenza sembra essersi stancato”.
Sì, è impossibile fare i salvatori di una patria che ancora non ha deciso qual è la salvezza. Lo hanno anche irriso, in alcuni interventi. Onore, quantomeno, alla sua coerenza.
La peggiore legislatura dal ritorno della democrazia sta per chiudere i battenti. A mettere la parola fine sono gli stessi che l’hanno inaugurata con il loro successo, i Cinquestelle e la Lega. Assieme, nel 2018, formarono il primo governo Conte; assieme, nel 2022, ridanno fiato alle contrapposte, almeno per ora, trombe della demagogia. Il populismo travolge di nuovo l’illusoria presunzione delle élite.
“Dovete andare a casa”, grida Barbara Lezzi, ex grillina, già responsabile del dicastero per il Sud nell’esecutivo giallo-verde. Il suo intervento, precisa la didascalia della diretta televisiva, viene pronunciato a nome del gruppo Upc-CAL-Alt-PC-AL-PrSmart-Idv.
Ma che si vuole di più?
Pape Satàn, Pape Satàn Aleppe.
Marco Cianca