Inutile girarci attorno, l’aumento dell’Iva, volenti o nolenti, e’ in agenda. Magari per ora scritto con inchiostro simpatico, ma pronto ad emergere nero su bianco non appena si porrà il problema della manovra d’autunno. Che dovrà, tra le varie cose, disinnescare le famose clausole di salvaguardia. Tradotto: o si trovano i 25 miliardi necessari, tagliando spese e sacrificando investimenti, o si aumentano le aliquote Iva. L’Istat ha stimato che questo significherebbe una contrazione dei consumi pari allo 0,2 per cento circa. La Banca d’Italia, a sua volta, ha avvertito che se non si aumentasse l’Iva (e non si trovassero i 25 miliardi) il rapporto deficit-pil schizzerebbe al 3,4%. Insostenibile. Dunque, sia pure a mezza voce, qualcuno che inizia a dire ‘’meglio aumentare l’Iva” c’e’.
Uno di questi, e da tempi non sospetti, è Paolo Pirani, segretario generale della Uiltec, che propone una sua ricetta di riforma fiscale ad ampio raggio.
Pirani, sarebbe davvero una tragedia se alla fine aumentasse l’Iva?
Una tragedia sarebbe non fare una vera riforma fiscale. In questo paese dobbiamo decidere cosa vogliamo: se vogliamo la crescita, come si sostiene, la sola strada è abbassare le tasse sul lavoro, invece di ipotizzare tasse piatte à la carte. Ciò significa che, come primo passo preliminare, da un lato si deve fare la lotta all’evasione fiscale e dall’altro…
Scusi, la interrompo subito: lotta all’evasione fiscale e’ il mantra ricorrente ogni volta che servono soldi che non si sa dove trovare. E le ricordo che l’attuale governo ha varato un ricco pacchetto di condoni.
L’attuale governo è anche quello che ha deciso di inviare la Gdf a controllare se chi prende il reddito di cittadinanza è in regola: forse si potrebbe usare la Finanza a maggior vantaggio, per dare la caccia agli evasori.
Ok, prosegua pure. Dicevamo.
L’altra cosa, dicevo, è disinnescare il macigno delle clausole di salvaguardia che impediscono di fare qualunque cosa, di anche solo ipotizzare qualunque progetto per la crescita.
E qui veniamo appunto al tema dell’Iva
Ci sono due approcci possibili, dal mio punto di vista. Il primo è consentire anche al lavoro dipendente di scaricare l’Iva, così come accade per gli autonomi. Il secondo è che, se riduco le tasse sul lavoro, una rimodulazione della tassa sui consumi, salvaguardando quelli essenziali, diventerebbe un percorso praticabile: non sarebbe uno scandalo e nemmeno una catastrofe per i consumi stessi.
Consentire di scaricare l’Iva ai lavoratori dipendenti è un altro mantra ricorrente, ma anche di questo non se n’e’ mai fatto nulla. Lei perché pensa che sarebbe utile, in questo contesto?
Intanto, consentire a tutti di scaricare l’Iva sui servizi farebbe emergere molto nero e di conseguenza aumentare il gettito fiscale. Scatterebbe il conflitto d’interessi: se mi posso scaricare la fattura, più facilmente pretenderò di avere la fattura. Io scarico, ma l’altro paga il fisco. Quindi, riassumendo: se da un lato riduci la pressione fiscale sul lavoro e dall’altro consenti di scaricare l’Iva ai dipendenti, alla fine avresti solo vantaggi e potrebbe anche aumentare l’Iva stessa senza danno.
Ma sul serio si può fare un aumento dell’Iva che colpisca i consumi dei ricchi e non quelli dei poveri, diciamo?
Ci sono consumi elastici o anelastici, e questi ultimi sono quelli dove io pago a prescindere dall’Iva. Se l’aliquota fosse rimodulata salvaguardando i redditi più deboli e puntando sui consumi di fascia più alta, si può. Specie se in parallelo si rende scaricabile anche al lavoro dipendente, che chiaramente non è quello più, diciamo, ricco.
Ok, ma allora com’e’ che non lo propone nessuno, e, anzi, alla sola idea si levano scudi da tutte le parti, sindacati compresi?
Perché siamo un paese conservatore, probabilmente. L’aumento dell’Iva non sarebbe il male assoluto, tutto dipende da com’è impostato.
E cosa invece, secondo lei, sarebbe il male assoluto?
La patrimoniale, secondo me, sarebbe molto peggio. Perché alla fine, e’ li’ che si rischia di andare a parare. La patrimoniale è un’azione di tipo depressivo per l’economia. Inoltre, finirebbe per colpire solo le abitazioni, come al solito.
Monti disse, nel 2011, che per fare la patrimoniale i patrimoni bisognerebbe prima trovarli.
E aveva ragione. Come vede, torniamo al concetto che esponevo prima, quello della lotta all’evasione fiscale. Poiché i patrimoni non si trovano facilmente, con una patrimoniale si colpirebbe quello che si vede e che quasi tutti hanno, cioè la casa. E alla fine possedere una casa rischia di diventare insostenibile per i redditi più bassi.
Altre idee per uscire dal cul de sac in cui ci troviamo?
Tassare le grandi piattaforme internet, come Facebook, Google, etc. Guadagnano miliardi e pagano ai fisco solo centesimi.
Ma questo lei lo sa che e’ utopico. Ci si prova da anni, ma non ci si riesce.
Un solo paese certo non può farlo, ma l’intera Europa potrebbe. Se l’Ue volesse avviare davvero una discussione sul tema fiscale, su come far pagare le tasse alle grandi compagnie del web, eccome se potrebbe.
Una riforma completa, come quella che lei tratteggia, richiede tuttavia tempi lunghi.
Certamente, ma almeno si può iniziare a metterla in campo, studiarla, lavorare a un percorso.
Si, ma resta che entro fine anno tocca pur trovare una soluzione per le clausole Iva. Ci sarebbero i tempi tecnici per fare tutto in pochi mesi?
Io credo che questo dipenda anche da come s’imposta la trattativa con l’Ue. Tutti sanno che in qualche modo da questo cul de sac delle clausole dobbiamo uscire. A fronte di un progetto ambizioso di riforma fiscale, io credo che con l’Ue si potrebbero trattare anche tempi e modi.
Nunzia Penelope