La situazione dell’Ilva di Taranto si complica ulteriormente dopo il sequestro della produzione degli ultimi 4 mesi e gli arresti predisposti dalla procura di Taranto. L’azienda ha annunciato la chiusura e i lavoratori dello stabilimento pugliese, seguiti poi anche da quelli del sito di Genova, hanno indetto una protesta ad oltranza. Giovedì 29 i sindacati hanno indetto uno sciopero di 8 ore con presidio davanti a Palazzo Chigi, dove i rappresentanti del governo si riuniranno per approvare il decreto legge che renda l’Aia uno strumento esecutivo e quindi non più scavalcabile dalla magistratura. Il diario del lavoro ha chiesto al segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, per molti anni segretario generale della Uilm di Taranto, primo sindacato tra i metalmeccanici della provincia, di spiegare che possibilità esistono di uscire da questa grave situazione che mette a rischio la produzione di acciaio in Italia.
Palombella come si esce da questa situazione?
E’ indispensabile l’intervento del governo. E’ l’unico in grado di poter risolvere questo problema e senza oneri dal punto di vista economico.
Come si è comportato finora?
È stato coerente e in pochi mesi è riuscito a far approvare la nuova Aia, dopo che la precedente era stata giudicata inadeguata. Il ministro Clini è riuscito a inserire nel nuovo strumento tutte le prescrizioni della magistratura, ma anche delle istituzioni locali, dalla Regione alla Provincia. Il problema è che poi questo strumento è rimasto fine a se stesso a causa del sequestro delle aree.
Cosa chiedete dunque al governo?
Di rendere l’Aia strumento di legge, solo a quel punto l’Ilva potrà chiedere il dissequestro. L’Aia, infatti, non ha il potere di bloccare i provvedimenti della magistratura che va avanti nella sua azione penale. Potrebbe farlo solo diventando uno strumento esecutivo, ma per questo è necessario un decreto legge.
Ma a quel punto cosa succederebbe? Perché per ridurre l’inquinamento sono necessari ingenti investimenti, come stabilisce l’Aia stessa.
Sì, si parla di 3 o 4 miliardi di euro. L’Ilva deve solo dire se è d’accordo o meno a fare questo investimento, ma già l’azienda si è resa disponibile a condizione che le aree fossero dissequestrate.
Ma dissequestrare le aree vorrebbe dire riprendere la produzione e come si fa a mettere in sicurezza gli impianti e nello stesso tempo portare avanti l’attività produttiva?
L’Aia prevede che per mettere in sicurezza l’attività produttiva e nello stesso tempo ridurre l’impatto ambientale si fermino alcuni impianti, quelli a freddo, e si riduca la produzione da 10 milioni di tonnellate a 8 milioni. Più complicato è chiudere gli impianti a caldo, che necessitano di una continuità produttiva.
L’intervento di Clini si è fatto sentire, ma il ministro dello Sviluppo economico che responsabilità ha rispetto alla vicenda Ilva?
Entrambi i ministri, in realtà, la prima volta che si sono recati a Taranto hanno sottovalutato l’entità del problema e la gravità della situazione. Nell’incontro di dopodomani ci aspettiamo invece che il governo si prenda le sue responsabilità e prepari un decreto legge che sia operativo al più presto.
In tutti questi anni di silenzio, quali sono state le responsabilità del sindacato?
Il sindacato è responsabile all’interno della fabbrica. In merito alle questioni ambientali non ha grandi competenze, che invece spettano alle istituzioni (Regione, Provincia, Comune). Noi ci occupiamo della sicurezza sul lavoro in termini di infortuni, non di quanto si verifica fuori dallo stabilimento.
Ma la società, in questo caso i cittadini di Taranto, pagano un prezzo molto alto (la loro stessa vita) a fronte della difesa di produzione e occupazione.
La nostra battaglia non è quella di produrre e basta, senza tener conto delle conseguenze sulla salute dei cittadini e dell’impatto ambientale. Noi ci fidiamo di quanto ha detto il ministro dell’Ambiente, che attraverso la tecnologia sia possibile abbattere il carico inquinante e continuare a produrre. Non possiamo rinunciare all’unica realtà produttiva di acciaio in Italia, perché sarebbe un disastro economico non solo per il Paese, ma soprattutto per la città di Taranto.