di Fernando Liuzzi
A metà settembre, da martedì 16 a giovedì 18, la Uilm ha tenuto, a Reggio Calabria, il suo 15° Congresso nazionale. Congresso che ha confermato Rocco Palombella nell’incarico di Segretario generale dell’organizzazione. Il Diario del lavoro lo ha incontrato nel suo ufficio al primo piano della palazzina di corso Trieste in cui hanno sede, dal 1972, i sindacati nazionali dei metalmeccanici: Fim-Cisl, Fiom-Cgil e, appunto, Uilm-Uil.
Palombella è nato 58 anni fa a Faggiano, in provincia di Taranto. Nel 1974, quando era appena diciottenne, iniziò a lavorare all’Ilva di Taranto, il più grande impianto siderurgico d’Europa. E da semplice iscritto è diventato via via prima delegato, poi segretario generale della Uilm provinciale, poi segretario nazionale della Uilm. Organizzazione di cui è alla testa dal 2010.
“Io sono arrivato qui avendo cominciato il mio impegno nel sindacato come delegato. Non sono stato scelto da una nomenclatura”, dice di sé Palombella.
Però in questi giorni molti parlano dei sindacati come di strutture quasi obsolete, autoreferenziali, incapaci di mettersi in contatto con i giovani. Se un ragazzo venisse oggi assunto, così come accadde a te quaranta anni fa, da un’impresa metalmeccanica, cosa gli diresti per spingerlo a fare oggi la stessa scelta che tu hai fatto allora, ovvero iscriversi alla Uilm?
“Prima che sulla Uilm cercherei di dirgli un paio di cose sul sindacato in generale. Secondo me, mai come in questo momento c’è stato bisogno di sindacato nelle imprese del settore manifatturiero. Nell’industria italiana in generale, e quindi anche nei settori metalmeccanici, c’è sicuramente bisogno di recuperare efficienza e accrescere la produttività. Però c’è chi pensa che a questo scopo sia utile mettere sotto attacco i contratti nazionali di categoria e i diritti acquisiti dei lavoratori. Credo sia quindi necessario tornare a rafforzare il sindacalismo confederale. A questo mio giovane interlocutore direi quindi che, se vuole agire per avere un futuro fatto di dignità e di libertà sul luogo di lavoro, per prima cosa deve iscriversi a un sindacato.”
“Dopo di che gli suggerirei di iscriversi alla Uilm. E per farlo userei gli stessi argomenti che, quaranta anni fa, mi spinsero a scegliere la nostra organizzazione. Che è e vuole essere un sindacato apartitico, autonomo, in cui le decisioni vengono prese nell’esclusivo interesse dell’impresa e dei lavoratori. Per noi, non ci sono altri interessi di cui si debba tenere conto. Noi non distinguiamo tra un amministratore delegato e un altro, tra un’impresa e un’altra. L’unica cosa che ci interessa e sapere se vengono rispettati o no i contratti e quali scelte di investimento vengono effettuate per assicurare all’impresa un futuro di sviluppo e, con esso, la crescita dell’occupazione e delle retribuzioni dei lavoratori.”
Sul tavolo di Palombella, nella stanza che fu di Giorgio Benvenuto e di Luigi Angeletti, c’è una pila di quotidiani, sormontata da una copia del nuovo Corriere della Sera aperto su un articolo in cui Dario Di Vico commenta l’accordo, appena definito, che introduce i 21 turni alla Ducati di Bologna in cambio di un investimento di 11,5 milioni di euro e di 13 assunzioni. Accordo rilevante, oltre che per il suo contenuto, per due fatti: primo, la Ducati non è solo una media, seppur nota, azienda italiana, ma un’impresa che da qualche anno fa parte del gruppo Volkswagen. Secondo, l’accordo è stato firmato unitariamente da Fim, Fiom e Uilm dell’Emilia-Romagna.
“Mi fa piacere – prosegue Palombella – che giornalisti capaci come Di Vico valorizzino accordi positivi come quello che abbiamo fatto alla Ducati. Purtroppo, quello che per un sindacato come la Uilm è qualcosa che sta in linea con la sua storia e la sua prassi, rispetto all’esperienza di altri sindacati appare come una netta discontinuità. Nel 2010, la Fiom si rifiutò di accettare l’introduzione dei 18 turni alla Fiat di Pomigliano, a fronte di un investimento ben maggiore e di una vicenda in cui erano in gioco 5mila posti di lavoro. Ora io penso che se rispetto a questioni decisive, come quella dello scambio tra flessibilità nell’organizzazione del lavoro e investimenti, qualcuno cambia idea rispetto a quanto ha sostenuto per quattro anni filati, lo deve dire. Non si può giocare sull’equivoco.”
“E qui voglio raccontarti una cosa che fin’ora non ho mai detto. Come cittadino elettore ho votato Renzi sia alle primarie del Pd, partito cui peraltro non sono iscritto, sia alle recenti elezioni europee. Come molti italiani, anche io ho avuto e ho grande fiducia in Matteo. Osservo però che deve stare più attento nel distinguere fra quelli che, come lui e come noi, il cambiamento lo vogliono per davvero, e i conservatori.”
Cosa vuoi dire?
“Che per quanto riguarda i rapporti con i sindacati, si è avuta l’impressione che Renzi abbia aprioristicamente infilato i massimi dirigenti delle tre maggiori confederazioni nella casella dei conservatori, salvo poi a individuare come unico innovatore a livello di categoria il segretario generale della Fiom. Ovvero un sindacalista che, a mio modo di vedere, è tutto meno che un innovatore. E se mi permetto di formulare questo giudizio è perché non è basato su un pregiudizio, ma sulle esperienze che abbiamo vissuto in questi ultimi quattro anni non solo alla Fiat, ma anche in altre vicende aziendali, nonché in quelle del contratto nazionale dei metalmeccanici. Insomma, facendo di Landini il suo interlocutore privilegiato, almeno in senso mediatico, secondo me Renzi ha compiuto una scelta politica, il cui scopo era quello di creare un problema alla Cgil, cioè a un’organizzazione sindacale molto legata a quei settori del Pd che lo hanno osteggiato. Questo è comprensibile. E tuttavia mi pare che così facendo Renzi abbia commesso un errore.”
In che senso?
“Nel senso che non ha costruito nessun rapporto con le confederazioni sensibili al cambiamento. E così, paradossalmente, ha finito per rafforzare Susanna Camusso, che è ancora saldamente al vertice della Cgil, mentre Bonanni, il leader della Cisl, ha deciso improvvisamente di anticipare la sua uscita dal sindacato.”
E la Uil? Anche Angeletti ha annunciato che non si ricandiderà all’ormai imminente Congresso nazionale della vostra confederazione.
“Il nostro è un caso diverso. Già dalla primavera scorsa, in vista del Congresso che terremo dal 19 al 21 novembre, Angeletti aveva annunciato che non si sarebbe ricandidato come Segretario generale della Uil. Ciò gli ha permesso di condurre in questi mesi un’ampia consultazione tra le categorie e le strutture territoriali allo scopo di individuare un candidato alla sua successione che godesse di un diffuso consenso.”
“Il 10 novembre si riunirà il Consiglio generale della Uil e, in quella sede, Angeletti indicherà questo candidato. Quanto a noi, nel nostro Congresso di Reggio Calabria abbiamo di fatto indicato che, dopo Benvenuto e Angeletti, un sindacalista che abbia fatto un’esperienza tra i metalmeccanici potrà rappresentare la Uil meglio di chiunque altro.”
Con questo vuoi dire che l’avvicendamento al vertice della Uil è un fatto tutto interno al sindacato, basato su motivazioni puramente endosindacali e non su interazioni, positive o negative, col sistema politico?
“Esatto.”
Da un televisore acceso, giunge in sottofondo la voce di Michele Tiraboschi, noto giuslavorista intervistato da una conduttrice di Sky. L’argomento è il dibattito, sempre più acceso, sull’articolo 18. E Tiraboschi sta sostenendo che, in generale, non c’è un nesso tra il grado di licenziabilità dei singoli lavoratori e i livelli occupazionali. In Germania, dove licenziare un lavoratore è più complicato, c’e’ un’occupazione più alta che in molti altri paesi europei. Mentre nel Regno Unito o in Spagna, dove licenziare è più facile, c’è anche una disoccupazione più alta, argomenta Tiraboschi.
Nel documento che avete approvato al termine del vostro Congresso c’è scritto che “la Uilm è contraria a qualsiasi ulteriore intervento” sull’articolo 18. Non pensi che Renzi abbia commesso un errore a infilarsi in una storia come questa che non appartiene al bagaglio culturale della sua parte politica?
“Credo che Renzi abbia scelto di battersi per la modifica dell’articolo 18 nell’ipotesi che tale modifica fosse spendibile in Europa in termini mediatici e quindi politici; e ciò, in particolare, allo scopo di poter, poi, portare a casa un risultato in termini di flessibilità rispetto alla politica economica. Ciò pur nella consapevolezza, da parte sua, che in sé un ulteriore intervento su questo articolo di legge, già modificato dalla Fornero, non avrà impatti sulla questione dell’occupazione.”
“Per quanto riguarda invece la situazione politica interna al nostro Paese, penso che chi si è contrapposto in modo radicale a questo tentativo di Renzi abbia fatto, in ultima analisi, il suo gioco. Avendo fatto molti annunci e avendo ottenuto scarsi risultati, penso che Renzi abbia scelto consapevolmente questo terreno per ottenere visibilità. E c’è chi ha accettato questa provocazione. Col bel risultato che, ormai, questa non è più una questione di merito sindacale, ma è una questione tutta politica su cui si misurano partiti e correnti interne ai partiti.”
“Per me, le questioni del mercato del lavoro e dell’occupazione sono tutt’altra cosa. Le modifiche introdotte su iniziativa del ministro Fornero durante il governo Monti non hanno avuto nessun impatto in termini occupazionali. Per invertire la tendenza negativa che ci affligge da anni, specie per quanto riguarda giovani e Mezzogiorno, serve altro: investimenti e fiducia nel futuro. Semmai, l’unico effetto che tutto questo clamore attorno all’articolo 18 potrà avere sull’occupazione sarà negativo. Perché accrescendo il senso di insicurezza dei lavoratori, la loro propensione al consumo non potrà che contrarsi. Da ciò deriverà un ulteriore calo della domanda che non è certo una premessa foriera di nuovi investimenti e, quindi, di una crescita occupazionale.”
Per concludere, vorrei tornare sull’accordo alla Ducati. Al di là di qualsiasi polemica sul passato, non pensi che il fatto che Fim, Fiom e Uilm abbiano raggiunto un accordo unitario con un interlocutore significativo come la Volkswagen sia un fatto in sé positivo?
“Purtroppo sono convinto che attualmente un accordo con questi contenuti, se fosse stato negoziato non in sede locale ma a livello nazionale, non sarebbe stato firmato unitariamente. Tuttavia, se anche altre strutture territoriali con senso di responsabilità e di autonomia raggiungessero intese che possano indicare un’inversione di tendenza nei rapporti tra i tre maggiori sindacati della nostra categoria in relazione ai problemi che nascono nel vivo della contrattazione, questo sarebbe sicuramente un fatto positivo.”
Twitter @Fernando_Liuzzi