L’industria metalmeccanica sta subendo, più di ogni altro settore, gli effetti della crisi e la ripresa, a quanto emerge dall’ultima indagine congiunturale di Federmeccanica, si prospetta ancora molto lenta. Il bilancio del 2009 resta fortemente negativo. La produzione industriale del settore metalmeccanico è calata nel corso dell’anno del 27%, le esportazioni sono scese del 23,8% e l’occupazione continuerà a scendere, almeno nella prima metà dell’anno.
Rocco Palombella lei è stato eletto segretario generale della Uilm in un momento molto difficile per i lavoratori, ma anche per le aziende.
Sì, sono stato eletto in un momento estremamente negativo. Infatti coincidono diverse difficoltà: oltre alla crisi che sta colpendo fortemente il settore, c’è il problema del degrado dei rapporti tra Cgil, Cisl e Uil, che si ripercuote nelle categorie, manifestandosi con maggior forza e intensità in quella metalmeccanica. A questi problemi si aggiunge ancora l’assenza di una politica industriale da parte del Governo che sia in grado di dare una risposta concreta alla crisi di tante realtà non solo aziendali, ma di sistema.
Quali obiettivi e quali strategie il suo sindacato intende perseguire per cercare di modificare lo stato attuale?
Vanno sicuramente potenziati ed estesi gli interventi già attuati dal Governo a sostegno del reddito e dell’occupazione, come ad esempio i progetti formativi o il finanziamento degli ammortizzatori sociali. Questi interventi d’emergenza, che sono sì necessari ma di corto respiro e che quindi si esauriscono nel breve periodo, devono essere accompagnati da un progetto più ampio di politica industriale.
Ci troviamo infatti davanti a vertenze consistenti come quella per la Fiat, l’Agile o l’ex Eutelia, l’Alcoa, ma anche la Severstal- Lucchini per il settore della siderurgia, nella quali pesa sì la crisi ma anche la totale assenza di una politica industriale che vada oltre il tampone dell’ammortizzatore sociale, e rafforzi concretamente la struttura dell’industria italiana.
E’ necessario trovare un luogo dove questi problemi vengano discussi con un coinvolgimento più ampio del sindacato, del Governo, ma anche dell’opposizione. L’obiettivo è quello di raggiungere un patto per il lavoro, che oltre a garantire l’occupazione, sia da volano per il rilancio dell’industria.
Cosa rimprovera al Governo?
Di aver perso la funzione che aveva prima il ministero dell’Industria. Ossia di essere un luogo dove si discute di politica industriale all’interno di un piano strategico che affronti complessivamente la crisi del settore. Invece oggi si discute di vertenze solo con il fine di tamponare i danni. Ad esempio, non si può affrontare una discussione sul settore auto chiedendosi che fine farà Termini Imerese. Sarebbe più giusto discutere di Termini Imerese all’interno di un piano strategico di politica industriale che coinvolga tutto il settore dell’auto.
Quali sono i rapporti del suo sindacato con la Fiom?
Attualmente siamo in una fase di rapporti molto difficili. In attesa che la Fiom ritrovi la lucidità e il modo per non perdere di vista la funzione effettiva del sindacato, le chiediamo di rispettare le regole attualmente esistenti, che, a maggior ragione, servono nei momenti di difficoltà. Il sindacato ha una responsabilità di fronte ai lavoratori che in questo momento di grave crisi chiedono soprattutto di salvaguardare lavoro e salario e di uscire dal precariato. Ci sono sensibilità diverse nel sindacato, ma il punto centrale deve rimanere la salvaguardia dei posti di lavoro. La Fiom invece mette al centro il conflitto, strumento indispensabile, che però non deve essere inflazionato altrimenti finisce per perdere efficacia. La Uilm non è contro iniziative di lotta, ma non condivide la lotta e la mobilitazione a prescindere. Noi siamo per un ruolo negoziale del sindacato e per un modello che dia risposte ai lavoratori. Mi auguro però che si riesca presto a superare questa difficoltà nel nome di un’unità sugli obiettivi e sulle priorità. Un duro lavoro che la Uilm è disponibile a portare avanti. Siamo disponibili a cercare assieme nuove regole.
E con la Fim?
Abbiamo raggiunto un patto nel rispetto delle regole. E’ il sindacato che ha bisogno di un contratto, non le imprese. La Fim ha condiviso questa necessità. Certo c’è concorrenza sui territori, ma questa è una caratteristica insita nel sindacato.
Quali sono invece i rapporti con le imprese?
Esiste una forte diversità con il sistema imprenditoriale. Le imprese rimangono ancora legate a vecchie logiche rispetto al mercato del lavoro, come ad esempio la ricerca di uno spazio più ampio per l’imprenditore legato però a una maggiore deregolamentazione del mercato del lavoro o, ancora, un aumento della competitività dovuto a un abbassamento dei costi del lavoro e dei diritti. Nonostante le imprese metalmeccaniche si siano mostrate contrarie a rinnovare il contratto a causa della grave crisi economica, siamo comunque riusciti a siglare l’intesa e a portare a casa un risultato importante per i lavoratori. Infatti noi dobbiamo investire su un buon lavoro e non su il lavoro a prescindere. Obiettivo che possiamo ottenere negoziando con le imprese. Per questo i temi relativi a partecipazione, enti bilaterali e applicazione della contrattazione di secondo livello rappresenteranno un banco di prova dell’evoluzione dei rapporti con le imprese.
Alcuni studi e articoli di giornali mettono in luce un calo di popolarità del sindacato. Lei cosa ne pensa?
Negli ultimi anni si è enfatizzato poco la politica, il progetto, l’intuizione. Questo perché costa in termini di ideazione, studio, applicazione. I partiti anziché portare avanti uno strumento di politica industriale rivendicativa e di welfare, non hanno fatto altro che accusarsi l’un l’altro, portando i cittadini a una disaffezione della politica stessa. Per ottenere consenso la politica ha deciso di attingere energie dal sindacato, la cui forza si basa proprio sul consenso, cercando di delegittimarlo. Noi abbiamo rischiato di essere accomunati ai partiti, quando invece abbiamo una nostra storia e una nostra struttura che non ha nulla a che fare con chi cerca di delegittimarci. Il sindacato è indipendente e autonomo dai partiti, non dalla politica di cui invece si dovrebbe occupare di più.
Francesca Romana Nesci