Entro quest’anno potrebbe diventare una realtà la riforma degli enti di patronato. Ne è convinto Michele Pagliaro, il presidente dell’Inca, il patronato della Cgil. La normativa in vigore è del 2001, ha più di venti anni e va cambiata, anche perché in questi anni tutto il mondo del lavoro è profondamente mutato ed è giusto che anche la normativa che consente a questi istituti di agire venga adeguata. I presupposti ci sono tutti. La Commissione di vigilanza degli enti previdenziali, presieduta da Tommaso Nannicini, ha già ampiamente discusso questo tema, arrivando a un documento unanime che getta le basi della riforma. Anche il governo Meloni è d’accordo, il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon ha più volte confermato che la riforma ormai è questione di mesi. Del resto, i patronati hanno retto molto bene la dura prova della pandemia, tenendo aperte le loro sedi, prestando un’assistenza a tutto tondo delle persone. Adesso è giusto, sostiene Pagliaro, che siano messi in grado di lavorare al meglio.
Pagliaro, è in arrivo la riforma della normativa relativa all’azione dei patronati?
Noi suspichiamo che al più presto possa vedere la luce. La normativa in vigore, la legge 152 del 2001, ha più di 20 anni, durante i quali sono avvenuti cambiamenti significativi del nostro ruolo, della nostra attività, del nostro impegno.
Anni di grande trasformazione.
Sì, caratterizzati dalla pandemia, che ha messo in luce tutti i limiti della normativa.
Quali limiti in particolare?
Noi per lavorare una pratica prima avevamo bisogno di avere davanti a noi fisicamente la persona che ci desse un mandato di patrocinio. Con la pandemia il governo è intervenuto introducendo il mandato di patrocinio telematico, che in un primo tempo era legato allo stato di emergenza, poi è stato stabilizzato.
Un cambiamento importante?
Ci ha messo in una condizione nuova che può rappresentare la base di un cambiamento, ormai non più rinviabile.
I patronati hanno retto bene la sfida della pandemia?
Posso dire che è emersa in maniera dirompente l’importanza del nostro ruolo, la forza della nostra rete di prossimità, come la chiamiamo noi. Le sedi dei principali istituti di previdenza, l’Inps, l’Inail, restavano chiuse per il lavoro a distanza, noi in poco tempo abbiamo cambiato la nostra modalità organizzativa, abbiamo adeguato le nostre sedi, abbiamo superato questa fase di difficoltà. Adesso pensiamo di poter raccogliere le nuove sfide che abbiamo di fronte. Tanto è vero che già con il precedente governo abbiamo iniziato a rivendicare la riforma normativa, insieme a Inas, Ital e Acli, nel maggiore dei quattro raggruppamenti dei patronati accreditati presso il Ministero del Lavoro, il Ce.Pa.
Con quali risultati?
Nell’ambito della Commissione di vigilanza degli enti previdenziali, presieduta da Tommaso Nannicini, abbiamo fatto il punto sulle principali criticità e si è arrivati ad approvare, all’unanimità, un documento che gettava le basi della riforma.
Con quali punti di forza?
Uno degli elementi qualificanti deve essere la qualità, tema che andrebbe declinato con maggiore attenzione. Per capire a cosa mi riferisco bisogna tenere presente che ogni quattro pratiche portate avanti dall’Inca, una sola è finanziata.
È una percentuale molto ridotta, circa il 25%, anche dal punto di vista delle riforme impegnate.
L’Inca è il patronato promosso dalla Cgil, noi curiamo le tutele individuali, il sindacato quelle collettive. Proviamo a coniugare le due cose per avere un’attenzione alla persona a tutto tondo. Noi crediamo che questo sia un elemento di valore. E sempre per lo stesso motivo teniamo ad avere una presenza su tutto il territorio nazionale. Sta diventando sempre più evidente la fragilità del 40% dell’intero territorio italiano. Un quarto della popolazione vive in una situazione di disagio, perché ci sono meno istituzioni pubbliche, c’è meno istruzione, meno sanità, meno sicurezza, ci sono meno infrastrutture materiali e immateriali. La nostra rete tende a dare risposta a queste carenze.
Un’attività molto impegnativa?
La principale esigenza, che dovrebbe trovare un riflesso nella riforma, è quella della semplificazione.
Cosa dovete semplificare?
L’attività ispettiva, per esempio. I patronati, che hanno una valenza costituzionale dettata dall’articolo 38 della Costituzione, sono finanziati e controllati dal ministero del Lavoro. Gli ispettori del lavoro controllano ogni pratica seguita dai patronati utilizzando troppo i fascicoli cartacei. Un meccanismo obsoleto, che andrebbe semplificato perché ci ostacola pesantemente. Nell’epoca della tecnologia, della rete, dato che tutte le nostre pratiche hanno il tratto della tracciabilità, basterebbe un clic per sapere quante pratiche sono state portate avanti e da quali patronati. Sarebbe accelerato anche il processo di finanziamento, perché attualmente finché non vengono ultimati tutti i conti e fatte tutte le verifiche il ministero non ci fa avere le risorse che ci spettano. Basta che una regione autonoma, con competenza ispettiva, ma con pochi ispettori, ritardi i suoi interventi, non si chiude l’annualità e non arrivano le risorse. Pensiamo che con le ispezioni informatizzate i patronati avrebbero maggiore capacità operativa e gli ispettori più tempo per i loro impegni. Ma vorremmo che si intervenisse anche sul mandato di patrocinio telematico.
Cosa c’è che non funziona?
È uno strumento molto utile ma a nostro avviso andrebbe disciplinato in maniera più coerente e dettagliata. Perché una persona che ha uno spid o una carta di identità elettronica può cadere nella rete sbagliata dei faccendieri, dei falsi consulenti. Cittadini che hanno diritto a prestazioni presso di noi gratuite si trovano a pagare dei costi e a cadere in truffe. Per questo vogliamo una definizione più dettagliata del mandato di patrocinio in modo da preservare questa attività che soggetti diversi da noi non sono abilitati a svolgere. In particolare, vorremmo essere messi in grado di svolgere un ruolo anche con le regioni che compiono scelte in autonomia in materia di welfare locale.
Qualche esempio di cosa vi occorrerebbe per operare al meglio?
Vorremmo fosse aggiornato il paniere delle prestazioni dovute. Se la Tbc non esiste più, è inutile che nell’elenco delle prestazioni dovute, magari nei sistemi locali di welfare, sia prevista questa tutela. Ma in generale vorremmo che il sistema prendesse atto di come si è trasformato il mercato del lavoro. Una volta le persone si aspettavano di avere, e spesso avevano, uno o due rapporti di lavoro in tutta la loro vita professionale. Tutto era più semplice, ma adesso non è più così, le situazioni personali sono molto frastagliate, le carriere discontinue, di pezzi di lavoro autonomo, precario, a contratto. Chiediamo allora una regolamentazione che tenga conto di questi processi e consenta ai patronati di svolgere il proprio ruolo. Non dimentichiamo che, quando qualcuno tentò di cancellare gli istituti di patronato intervenne la Corte costituzionale con la sentenza n. 42 del 2000, che stabilì l’utilità della nostra funzione.
Lei crede che sia possibile arrivare alla riforma? Pensa che è caduto quell’atteggiamento negativo nei vostri confronti, che è durato a lungo e vi ha danneggiato?
Non so se quell’atteggiamento sia ancora vivo o meno, noi abbiamo fatto la nostra parte, specie durante la pandemia, quando siamo stati molto utili, come altre categorie, i medici, i lavoratori del sistema dei trasporti, tanti. Poi, certo, abbiamo visto come le cose sono cambiate, ma non demordiamo. Abbiamo anche avuto delle disponibilità. Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro con delega ai patronati, ha assicurato più volte che la riforma vedrà luce nella seconda metà del 2024. Auspichiamo che si avvii un concreto dialogo, partendo da queste riflessioni.
La svolta importante per voi è stata la sentenza della Corte?
Ha chiarito che l’istituto di patronato, che è finanziato con una quota dei versamenti previdenziali obbligatori dei lavoratori, ha una sua ragione d’essere in un paese democratico, ne è uno dei cardini. Io sono convinto che l’emancipazione della società non sia il risultato finale di una somma, ma una continua addizione, che continuerà ancora. La coesione sociale passa attraverso la capacità di fruire dei diritti dovuti.
Allora, la seconda metà del 2024 potrebbe essere il momento della riforma?
Quello potrebbe essere l’orizzonte possibile. Non aiuta che a causa della riorganizzazione dell’apparato tecnico del ministero del Lavoro non ci sia ancora un dirigente generale con queste competenze, che Inps e Inail stiano solo adesso uscendo dalla fase del commissariamento. Ma noi crediamo sia possibile.
Massimo Mascini