Il politicismo e la lotta per il potere dominano la dialettica tra simulacri di partiti, che parlano solo di “campi larghi”, alleanze elettoralistiche, candidature alla premiership, senza identità e proposte programmatiche oltre il contingente in grado di guardare al futuro, mentre il sindacalismo confederale appare diviso tra la riproposizione del modello conflittuale e di quello collaborazionista, entrambi distanti dalla cultura del riformismo sociale europeo, espresso dalle socialdemocrazie sino al crollo del Muro di Berlino
Sembra così, che si debba avverare quel “pessimismo della ragione” che Gramsci contrapponeva all’”ottimismo della volontà”.
Ma negli ultimi giorni la vita pubblica italiana ci ha offerto delle belle pagine di autentico riformismo, che devono costituire l’occasione di un dibattito sereno, sui mali della società e dell’economia italiane nel contesto nazionale e in quello globale.
Giorgio Benvenuto, uno dei leader storici del sindacalismo italiano, e Marco Cianca, autorevole opinionista, hanno scritto “Lavoro e Libertà. Un manifesto per il riscatto, la dignità, la partecipazione” pubblicato su “La rivoluzione democratica. Giornale socialista di idee e critica politica”, in cui affrontano i temi della precarizzazione del lavoro e della drammatica riduzione dei diritti sociali, a fronte dei vertiginosi processi di accumulazione capitalistica prodotti dall’economia 4.0, con i fenomeni del dumping sociale, della crisi salariale e delle politiche welfaristiche, dell’abbandono del lavoro, dello sfruttamento degli immigrati, del ritorno del paternalismo datoriale, dell’inadeguatezza dell’azione delle forze politiche della sinistra, a fronte della straordinaria predicazione sociale di Papa Francesco, vox clamantis in deserto nell’orgia mercatistica generata da una globalizzazione, che, già in crisi dopo la bolla dei mutui subprime e il fallimento di Lehman Brothers e poi con la pandemia, sembra schiantarsi sul muro della prospettiva di una nuova divisione in blocchi militari ed economici, quello Occidentale e quello Euroasiatico, che l’invasione russa dell’Ucraina sta generando.
Scrivono Benvenuto e Cianca: “Purtroppo, stiamo tornando al clima della prima industrializzazione, con forme selvagge di sfruttamento, di umiliazione, di sicurezza negata. Chi tiene il conto delle morti bianche? Con l’aggravante che nell’Ottocento il nascente movimento socialista e le prime leghe si battevano come leoni per cambiare le cose, mentre oggi i partiti della sinistra e i sindacati giocano tutto in difesa, pensando che piccoli risultati in una miseranda ridistribuzione delle ricchezze possano avallare la formazione di tesori stratosferici”. La proposta che viene dal Manifesto non è certamente di palingenesi sociale, ma di un riformismo dalle radici antiche impiantate nel nostro tempo, quelle della rivalorizzazione del lavoro e dei suoi diritti.
La scomparsa di Leonardo Del Vecchio, self made man divenuto uno degli imprenditori più importanti al mondo, poi, ha riproposto il modello sociale d’impresa, quel comunitarismo che a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta Adriano Olivetti tentò di realizzare ad Ivrea, segnato da una visione partecipativa del lavoro e della sua promozione. Un imprenditore illuminato, aperto alle necessarie riforme sociali e alieno dal familismo in azienda tipico della nostra economia, distante dalle attuali posizioni confindustriali di chiusura alle giuste istanze di redistribuzione della ricchezza dal capitale al lavoro nella iniqua società italiana.
E Rino Formica, prestigioso esponente della storia del socialismo nel dopoguerra e protagonista del “Nuovo corso” del Psi nei trascorsi anni Ottanta, in questi stessi giorni, in un’intervista alla “Stampa” ha analizzato con acume e realismo la crisi del nostro sistema politico e la “decadenza lenta del Paese”, evidenziando come le narrazioni propagandistiche di stampo populista delle forze del centrodestra non possano esprimere cultura di governo.
Il Manifesto di Benvenuto e Cianca, la vita di Del Vecchio, le analisi di Formica sono davvero belle pagine di riformismo autentico, che dovrebbero servire a ricostruire, in primo luogo nella sinistra italiana con un’adesione piena alla cultura politica del socialismo liberale, un orizzonte valoriale e programmatico, che abbia al centro il lavoro, l’equità sociale, lo sviluppo del Mezzogiorno, i diritti civili, la partecipazione democratica dei cittadini.
Maurizio Ballistreri, Professore di Diritto del Lavoro nell’Università di Messina e Responsabile dell’Istituto di Studi sul Lavoro