Nel giorno dello sciopero generale, il governo da’ un importante segno di disponibilità, revocando il decreto di precettazione deciso dal ministro dei trasporti Maurizio Lupi, che avrebbe impedito l’astensione dal lavoro dei ferrovieri. Era intuibile dalle parole, per una volta concilianti, di Matteo Renzi: ‘’mi auguro che tra i sindacati e Lupi si trovi un accordo’’, aveva detto nel pomeriggio di giovedì. E all’ora di cena, infatti, l’accordo c’era: via la precettazione, in cambio della riduzione di un’ora dello sciopero dei treni. Il commento di Susanna Camusso e Carmelo Barbagallo, leader della protesta, è stato altrettanto conciliante: se da un lato i segretari di Cgil e Uil sottolineano con soddisfazione ‘’avevamo ragione noi, il governo ha dovuto fare marcia indietro’’, dall’altro non mancano di rilevare che si tratta ‘’di un primo segnale di ravvedimento da parte del Governo che speriamo sia di buon auspicio per il futuro”. Un ravvedimento dipeso direttamente dalla volontà di Renzi: e dunque,va inteso come un inizio di disgelo tra il premier e i sindacati.
Se questo si tradurrà in altre prove di disponibilità lo sapremo presto. Nei prossimi giorni si entrerà nel vivo dei decreti delegati sul Jobs Act, sui quali il sindacato chiede di avere voce in capitolo, motivo principale dello sciopero odierno che ha come primo obiettivo proprio quello di ripristinare il diritto al confronto con l’esecutivo. Confronto a cui, come e’ noto, Renzi si e’ fin qui sempre sottratto. Ma forse anche il premier inizia a comprendere che non e’ questa la politica che più paga, anche in termini di immagine nei confronti del sistema internazionale. Prova ne è la bocciatura di Standard and Poor, che ha declassato il nostro paese a livello BBB-, motivandolo con la convinzione che le riforme annunciate richiederanno tempi lunghi e, forse, non saranno alla fine così incisive come si suppone. Diversamente da quello che osservatori superficiali sostengono, lo scontro sociale non e’ affatto considerato, all’estero, un fiore all’occhiello per un governo, anzi: si sa benissimo che e’ molto più conveniente portare a casa una riforma con l’appoggio delle forze sociali che contro di esse, e che una presunta rivoluzione del lavoro che sconta l’opposizione durissima dei sindacati difficilmente avrà effetti positivi sull’economia. La pace sociale resta, a qualunque latitudine, la migliore vitamina per rivitalizzare un paese in crisi, e solo chi e’ rimasto attaccato nostalgicamente ai tempi della signora Tatcher può credere il contrario.
Che il problema italiano sia proprio quello di un intensificarsi del conflitto lo si evince anche dalle parole del garante sugli scioperi, da cui è partito tutto lo scontro sulla precettazione, Roberto Alesse: “Ci sono troppi conflitti sociali”, ha dichiarato. Esattamente: ci sono troppi confitti sociali e che questo ‘’troppo’’ avvenga durante un governo di centro sinistra, guidato dal segretario del principale partito di sinistra, e’ alquanto insolito. Se ne accorgono con preoccupazione anche all’estero: Liberation, il giornale della gauche francese, oggi ha aperto la prima pagina proprio sullo scontro tra le due sinistre italiane. Due sinistre che, tra l’altro, da sabato 13 saranno ufficializzate anche all’interno dello stesso partito democratico: a Bologna Pippo Civati riunirà a congresso quella parte del Pd che non si riconosce in Renzi, varando un vero e proprio programma alternativo, in dieci punti. Se questo preluda o meno a una scissione non e’ chiaro, e comunque non e’ certo auspicabile: una sinistra vincente e di governo, lo abbiamo visto negli anni, può essere solo una sinistra unita.
Tanto più oggi, in un paese che si sveglia ogni giorno immerso in un nuovo scandalo. L’ultimo è quello scoperchiato dall’indagine della procura di Roma sulla Mafia Capitale, che ha riportato d’attualità la lotta alla corruzione. Un tema che il Governo Renzi aveva in realtà sottovalutato: al di là della nomina dei vari commissari anticorruzione, o delle misure di controllo prese nei confronti dell’Expo e del Mose, resta che nessuna legge ad hoc e’ stata varata per arginare la dilagante criminalità economica, prima causa del declino italiano. Non è una mancanza che va imputata al solo Renzi, naturalmente: le leggi ad personam, varate dai governi di centro destra a partire dal 2001-2002 (quella che depenalizza il falso in bilancio, o quella che accorcia drasticamente i tempi di prescrizione, per citare le più dannose) non sono state modificate nemmeno negli anni in cui il centro sinistra e’ stato al governo. E dunque, si tratta di una responsabilità assolutamente trasversale agli schieramenti politici. Ora Renzi ha deciso di intervenire drasticamente: il consiglio dei ministri di questa sera sarà chiamato a varare leggi severe contro la corruzione e il malaffare. Vedremo nei prossimi giorni cosa ne scaturirà: non e’ un segreto che l’attuale maggioranza di governo, su questo terreno, abbia posizioni divergenti.
Resta il fatto che l’emergenza accesa dalla scoperta del connubio tra crimine organizzato e corruzione politica va affrontata subito e con decisione, pena un ulteriore e probabilmente definitivo scollamento dei cittadini da coloro che hanno eletto per rappresentarli. Il presidente della Repubblica, nei giorni scorsi, ha lanciato l’allarme sull’eversione rappresentata dall’antipolitica, sostenendo che si tratta del più grave problema che l’Italia deve oggi affrontare. Con tutto il rispetto dovuto al capo dello stato, è tuttavia impossibile non replicare a Giorgio Napolitano che lo sgradevole fenomeno dell’antipolitica è, per l’appunto, figlio legittimo del disgusto che i cittadini nutrono verso le deviazioni di una parte ormai sempre più ampia della classe dirigente nazionale. Ed è quindi da qui che occorre ripartire, per far davvero svoltare l’Italia.
Ps: oggi è anche l’anniversario di Piazza Fontana, il quarantacinquesimo. La generazione al governo ha la fortuna di non aver vissuto in quell’anno, quegli anni. Anni di grandi conquiste, tra cui lo Statuto dei Lavoratori che oggi il governo Renzi vuole dismettere. Ma anche anni di sangue, di paura, di buio pesto sulle istituzioni, sulla politica, sul paese. Ne siamo usciti, e tutto sommato bene. E dunque, per dirla con le parole di un grande poeta come Francesco De Gregori: “Viva l’Italia, l’Italia del 12 dicembre, l’Italia che resiste, l’Italia che non si arrende. L’Italia con gli occhi asciutti nella notte scura. L’Italia che non ha paura”.
Nunzia Penelope