Pasquale Papiccio – segretario nazionale Uila-Uil
La trattativa per il rinnovo del Ccnl degli operai agricoli e florovivaisti, che coinvolge oltre 700.000 lavoratori e circa 200.000 aziende, si è ufficialmente aperta l’8 ottobre scorso. E’ il maggior contratto collettivo dell’agricoltura e perciò tradizionalmente influenzato ed intrecciato con eventi esterni. E’ quindi, prevedibile, ad esempio, che le proposte del Libro bianco del ministero del Lavoro condizionino, comunque, il comportamento delle parti al tavolo di trattativa.
Di quelle datoriali in primo luogo, che possono subire il fascino di ipotesi di “liberismo spinto”; ma anche di qualche organizzazione sindacale, che può essere tentata di trasformare il tavolo sindacale in una tribuna politica di contestazione del Governo in carica. Non è perciò, né rituale, né retorico, il richiamo a stare “all’ordine del giorno” per evitare battaglie ideologiche e di principio, da sempre fuorvianti ed improduttive e comunque, alla fin, dannose per i lavoratori.
All’ordine del giorno della piattaforma sindacale vi sono almeno quattro proposte principali.
La prima è riferita alla necessità di guadagnare alla remunerazione del lavoro una parte degli incrementi di produttività. La riforma del sistema contrattuale realizzata nel 1995, imperniata in particolare sulla definizione da parte della contrattazione decentrata delle retribuzioni di qualifica, è stata funzionale, non solo a salvaguardare il salario reale, bensì a rompere la gabbia del sistema classificatorio nazionale e a creare le condizioni per valorizzare e remunerare in modo adeguato le professionalità. La ragione vera per cui la contrattazione articolata è diventata diffusa e pienamente esigibile sta qui. Solo chi guarda le cose stando a “tavolino” può immaginare che si possano stipulare 90 contratti provinciali in virtù di una nuova architettura contrattuale.
Ora quella politica salariale va portata a compimento guadagnando gli spazi utili a poter negoziare nel territorio e/o in azienda, elementi salariali legati all’andamento della produttività, della redditività e degli altri aspetti di competitività. Obiettivo tanto più necessario in un momento in cui l’agricoltura italiana deve forzatamente riconvertirsi in agricoltura di qualità per poter consolidare la sua competitività in un mercato sempre più meno protetto e sempre più globalizzato.
La seconda riguarda l’elevamento sostanziale del tasso medio del “sapere” in un settore che ha bisogno non solo di fare prodotti migliori, ma anche di farli conoscere per poterli vendere. L’agricoltura italiana è ricca di prodotti tipici, che pochi conoscono e consumano. Promuovere , espandere e globalizzare la tipicità può essere una strada importante di sviluppo anche di occupazione qualificata. Per questo occorre costruire sin da ora lo strumento idoneo per una nuova politica di formazione, cioè il fondo interprofessionale proposto in piattaforma.
La terza proposta si riferisce al consolidamento ed al miglioramento delle tutele sociali del lavoro, a partire dalla previdenza complementare e dalla effettiva esigibilità del Tfr. A regole immutate, un lavoratore agricolo che andrà in pensione tra venti anni avrà una rendita pari alla metà di quella di chi ci va oggi. Altro che un milione al mese! Tfr e previdenza complementare sono dunque problemi da risolvere con questo rinnovo contrattuale.
Infine vi è il problema del consolidamento e dello sviluppo della bilateralità, come metodo di relazioni sindacali positive finalizzato ad affrontare questioni di interesse comune, prima fra queste quella del mercato del lavoro. Il sindacato è davanti ad un bivio: o decidere di sporcarsi le mani o lasciare campo libero ad agenzie private.
La scelta è quindi obbligata. Chi per motivi “igienici” dovesse optare per l’Aventino deve sapere che oggettivamente si porrebbe nell’ottica del Libro bianco.