Fine anno e buoni propositi. Capita sempre di riflettere sul futuro quando festeggiamo la fine dell’anno. Qualcuno in questi casi si rattrista pensando al lavoro e alla distanza dalla agognata pensione. Apprendiamo quest’anno che esiste un fenomeno, partito dagli USA ma in una certa parte registrato anche in Italia, che chiamano, con comunque troppa enfasi, “fuga dal lavoro”. Certamente alcune ricerche empiriche fatte sul campo dimostrano un crescente sfinimento psico-fisico dei lavoratori italiani e non solo per colpa del periodo pandemico. Quasi la metà dei lavoratori intervistati lamenta turni massacranti, orari prolungati e intensità crescente dei ritmi di lavoro, ma soprattutto un salario distante dalle esigenze di una economia reale. Da questo quadro emerge non ci sia solo “carenza di manodopera” come lamentato da molti imprenditori, ma soprattutto salari e condizioni di lavoro insostenibili. In questo contesto il crack mentale che chiamano burnout porta alla fuga. Ma scappare dove? L’OCSE aumenta lo stress ricordando che in pensione i nostri giovani ci potranno andare a 71 anni e le discussioni che affollano i giornali sulle pensioni anche in questi giorni sono improntate al pessimismo. Tutto genera malcontento. Fuggire non è mai una soluzione ma più grave è la condizione di chi vorrebbe uscire dal lavoro ma semplicemente non può perché non può rimanere senza reddito.
Il piano B aiuta. Immaginare che ci sia una alternativa, in ogni situazione, riduce lo stress da prestazione, un concetto banale da applicare sempre anche nel lavoro. Allenterebbe la pressione a chiunque sapere che se va male esiste l’opzione pensione. Anche minima su cui poi costruire altre fonti di reddito.
Partiamo dalla negazione del primo tra i luoghi comuni: io non andrò mai in pensione. Se non si considera con quanto…. dipende. I fattori da considerare sono gli anni di versamenti, l’età, la retribuzione ricevuta negli anni e il momento del primo versamento all’INPS.
Parlando dei giovani possiamo concentrarci sul sistema contributivo puro, riservato a chi ha cominciato a versare contributi a partire dal 1° gennaio 1996. Prima sorpresa: per questi lavoratori “bastano” 20 anni di contributi versati per avere la pensione di vecchiaia. Anche l’età dalla quale poter chiedere di andare in pensione sempre in presenza del primo requisito è relativamente bassa: 64 anni. Facile? Non proprio. Per richiederla è necessario maturare un importo della pensione mensile pari a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale (pari a 460,28 euro) quindi almeno pari a euro 1.288,78!
Oltre a ricordare che se non si raggiunge tale importo, anche in presenza dei 20 anni di versamenti, dobbiamo salire a 67 anni e maturare una pensione con almeno 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale oppure 71 anni senza un minimo di pensione da raggiungere e in questo caso anche solo con 5 anni di contributi versati, dobbiamo sforzarci di capire come si calcola la base di calcolo di quel numero che genera la nostra pensione chiamato: “montante contributivo”.
Un numero chiave da tenere sotto osservazione perché rappresenta il montante individuale ovvero il capitale accumulato dal lavoratore nel corso degli anni di lavoro ai fini pensionistici.
È importante anche per i meno giovani perché con la Riforma Fornero, dal 1 gennaio 2012 il sistema di calcolo che andremo a raccontare si applica pro quota anche a coloro che nel 1995 avevano già almeno 18 anni di contributi versati.
Per calcolarlo bisogna tenere conto dei seguenti parametri.
- la base imponibile annua pari a:
o La retribuzione annua, per i lavoratori dipendenti
o Il reddito annuo, per i lavoratori autonomi iscritti alle gestioni previdenziali dedicate
- Il totale dei contributi versati pari a:
o Il 33% della retribuzione annua per il dipendente
o Il 24% del reddito annuo del lavoratore autonomo
o dal 24% al 33% del reddito annuo per gli iscritti alla gestione separata INPS
Costruito il montante anno dopo anno di versamenti e dopo averlo rivalutato con un coefficiente che tiene conto del PIL di ciascun anno interessato ai versamenti, possiamo finalmente calcolare la rendita pensionistica mensile con il metodo contributivo in due mosse:
- la prima moltiplicando il montante contributivo complessivo per il coefficiente di trasformazione legato all’età anagrafica in cui si esce;
- la seconda dividendo tale importo della pensione lorda annua per 13 mensilità.
Ma provando a cambiare approccio possiamo a questo punto rispondere ad una domanda importante che non troppo spesso ci viene posta quanto dovrebbe: quanto devo guadagnare per 20 anni per poter uscire a 64 anni? Possiamo essere indicativi ma crediamo sufficientemente vicini al reddito necessario:
- almeno 2700 euro mese per 20 anni, per 14 mensilità (RAL 37.800).
In questo caso il nostro lavoratore con detta RAL (che abbiamo ipotizzato si rivaluti del 2% annuo) dal 2002 al 2022 si potrebbe costruire un montante contributivo pari a 343.683 euro e una rendita pensionistica mensile di 1.338 euro per 13 mensilità. Non molto per vivere sereno, forse un numero sufficiente per paragonarlo alla situazione personale e costruirsi per tempo il famoso piano B da tenere custodito nel cassetto.
Massimo Fiaschi