Il Congresso della Ces, appena conclusosi pochi giorni fa, è stato segnato da due caratteristiche essenziali non in contraddizione fra di loro: la continuità e il rinnovamento. Ovvero la continuità delle scelte politiche di fondo assieme, alla fine del Congresso, al rinnovo totale della segreteria. D’altronde le regole ferree del sindacato europeo impongono il rispetto rigoroso dei due mandati per ciascun membro di segreteria. Così come in altre circostanze, un’intera squadra di segreteria ha esaurito il proprio mandato e una nuova la rimpiazza. Il carattere più significativo del nuovo gruppo dirigente è dato dal fatto che esso è composto in prevalenza (4 su 3) da donne, ivi compresa la nuova segretaria generale, Bernadette Segol. Tuttavia il ricambio, come sempre avviene a livello internazionale, non ha creato alcuna tensione in sede congressuale, giacché tutte le procedure precedenti lo avevano definito in dettaglio con il massimo di trasparenza. Questo ha consentito al Congresso di cimentarsi esclusivamente sui problemi politici e sulla situazione inedita e durissima che sta attraversando l’Europa. Un’Europa che per la prima volta nella sua storia rischia di andare oltre la divisione classica, quella tra più Europa o ritorno ai nazionalismi. Per la prima volta infatti, gli effetti della crisi possono produrre una nuova divisione dell’Ue tra aree geografiche omogenee: l’Europa continentale da una parte e quella mediterranea dall’altra. Una divisione che prima della crisi era coperta da una moneta unica come l’euro, che riusciva a coprire le differenze e che ora invece non riesce più a fare. Questo scenario è l’effetto di una crisi non governata, vissuta come un avallamento e non come una crisi strutturale, e che per questo ha aumentato le differenze piuttosto che ridurle. Questo punto è stato quello più al centro del dibattito del congresso e dei suoi atti conclusivi. Il timore cioè di un’Europa che non riesca più a trovare un minimo comune denominatore, sottoposta a lacerazioni crescenti e ad attacchi speculativi che potrebbero arrivare a colpire la stessa moneta dell’euro oltre ad infiltrarsi anche nel campo sindacale, minandone l’unitarietà. Per contrastare questa deriva non c’è alternativa a una battaglia a viso aperto contro le decisioni che il Consiglio e la Commissione europea stanno prendendo, a partire dal famoso Patto Euro Plus. Il nodo in discussione e il punto dirimente si è confermato ad Atene, non sta nella richiesta di politiche di risanamento di bilancio che il Governo europeo ha deciso. Ma che queste politiche di risanamento sono separate dalla crescita, con la conseguenza che il solo taglio della spesa pubblica invece che risanare in realtà deprime ancora di più le economie e le conduce alla stagnazione se non alla depressione.
Il risanamento non è alternativo alla crescita a condizione che vi sia la volontà di mettere sul tappeto nuove fonti di risorse economiche. Se il taglio cioè viene compensato da risorse europee capaci di sostenere un Piano europeo per lo sviluppo e la protezione sociale. Non è possibile, si è detto al Congresso, che le uniche risorse finanziarie europee riguardino solo quelle reperite nel Fondo contro la speculazione (420 miliardi di euro) e non ve ne sia nemmeno uno invece stanziato per aiutare l’Europa a uscire dalla crisi. Per questo il documento conclusivo, il Manifesto di Atene, rilancia il tema di un Eurobond europeo e della tassazione delle rendite finanziarie a breve, per reperire nuove risorse per investimento.
E che per sostenere queste rivendicazioni, alla vigilia della prossima riunione del Consiglio del 22 giugno è stata convocata un’ulteriore manifestazione il giorno prima, la prima della nuova segreteria, ma in perfetta continuità con la precedente che aveva fatta l’ultima a Budapest il 9 aprile sulle stesse priorità. Insomma la Ces ha ribadito che la crisi in atto in alcuni Paesi europei, a partire dalla Grecia o dall’Irlanda o dal Portogallo, non riguardano particolari Paesi viziosi che hanno dilapidato in maniera scriteriata le proprie risorse, non è una crisi nell’eurozona ma dell’eurozona. Che la compenetrazione tra le economie di un mercato unico e con unica moneta non è banalmente divisibile tra Paesi viziosi e Paesi virtuosi, come dimostra lo stesso intreccio finanziario e bancario tra i diversi Stati. E’ sotto gli occhi di tutti, ad esempio, che l’esposizione delle banche tedesche e francesi sul debito greco o irlandese è talmente forte che l’eventuale default di quei Paesi porterebbe a picco anche quello delle principali banche appunto tedesche e francesi. Peraltro senza risolvere questa contraddizione gli effetti sociali sono devastanti. Da una parte nei Paesi maggiormente sottoposti all’attacco speculativo, nei quali tutto il peso del risanamento è caricato sulle spalle dei lavoratori e dei pensionati e dall’altro dalle recenti decisioni del Patto Euro Plus che scarica sul lavoro tutto il deficit di competitività dell’Europa, con le decisioni di intervenire sui salari e sui modelli di contrattazione. Su questo punto il Congresso ha reagito con estrema durezza. Contro la messa in discussione dell’autonomia negoziale delle parti sociali e contro l’attacco alla contrattazione che deriverebbe dalla proposta di disaccoppiare per i salari, la produttività dall’inflazione e di aziendalizzare la contrattazione come unica fonte delle relazioni industriali.
Sono prese di posizioni necessarie e che potrebbero portare ad una possibile positiva evoluzione della Ces. Quello che è stato infatti uno dei problemi più grandi del sindacato europeo derivava proprio dalla povertà degli strumenti e dei mandati in proprio possesso. La Ces ha sempre avuto un blocco di maggioranza basato su tre grandi espressioni del sindacalismo europeo, come quello tedesco, scandinavo ed inglese. Il sindacato mediterraneo ha invece esercitato una funzione più marginale e discontinua e raramente ha assunto, almeno negli ultimi anni, un ruolo determinante. D’altronde i sindacati del blocco di maggioranza hanno tutti la caratteristica di essere sindacati unici, al contrario di tutti quelli mediterranei il cui pluralismo è stato sottoposto a dure prove con la crisi. Ma il limite dei sindacati di maggioranza è stato quello di essere fin qui, i più restii se non proprio scettici, verso una funzione di direzione vera, politica e rivendicativa della Ces. Ora questa sarà la vera cartina di tornasole per il gruppo dirigente uscito dal Congresso: ovvero quello di riuscire ad acquisire nuovi spazi di azione e nuovi poteri. D’altronde quando l’Ue decide di intervenire su tutti i salari dei Paesi dell’eurozona come è possibile difendersi e magari rilanciare senza almeno una risposta univoca di tutti i sindacati della stessa zona? Atene ha ribadito una forte unità in tutti gli atti del Congresso ora essa è chiamata a reggere alla prova dei fatti.
Walter Cerfeda