Sono tornati gli European Social Services Awards 2021 dell’European Social Network (ESN) di cui abbiamo seguito i lavori su queste pagine. Si tratta della selezione dei migliori progetti europei d’innovazione sociale, suddivisi in 5 categorie e selezionati da un panel di esperti. La prima edizione degli European Social Services Awards, svoltasi nel 2019, e quindi a 20 anni dalla nascita dell’ESN, ha indicato gli obiettivi del premio, validi anche per l’edizione di quest’anno: identificare e promuovere le migliori pratiche; dare riconoscimento all’eccellente lavoro svolto sul campo; incoraggiare le realtà a collaborare e supportarsi a vicenda per migliorare le loro pratiche; promuovere l’innovazione nei servizi sociali in Europa. Le categorie individuate per l’edizione 2021 sono: Social Service Innovation; Outstanding Team; Collaborative Practice; Technology Tool; Research Project. I vincitori di ogni categoria verranno votati da un panel di esperti (la cui decisione varrà il 65% del giudizio finale) e dal pubblico (il cui voto avrà un peso del 35%), rappresentato da chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato aderente all’Unione Europea. Per poter votare è necessaria la registrazione alla piattaforma di ESSA. Il termine ultimo è venerdì 19 novembre. La cerimonia di premiazione è prevista per venerdì 3 dicembre, dalle 12.30 alle 17.30 al Renaissance Hotel di Bruxelles. Anche in questo caso è necessario registrarsi entro il 19 novembre.
Noi come Tutte per Italia partecipiamo alla rete dei servizi sociali europei per scambiarci buone pratiche e perché siamo convinti che il welfare che accetta di essere “motore dello sviluppo” spesso sembra stretto in una tenaglia: da una parte l’efficacia non sempre evidente dei propri interventi, dall’altra la natura selettiva dell’offerta che sembra minare il principio di universalismo. Ma ci sono tendenze che, se ricomposte, possono permettere di superare queste pressioni. Recentemente ci siamo confrontati sulla situazione degli asili nido e i dati emersi nella situazione italiana consentono di proporre alcune riflessioni che riguardano non solo questo specifico ambito, ma più in generale un particolare modello di welfare e, al suo interno, il ruolo esercitato da un altrettanto particolare attore ovvero il Terzo Settore e ancor di più l’impresa sociale. E si tratta del rapporto tra il tasso di occupazione femminile (per di più in una fascia “giovanile” tra i 25 e i 34 anni) e i posti negli asili nido ogni 100 bambini tra i 0 e i 2 anni.
Sicuramente si verifica un andamento non lineare tra le due variabili, in particolare al crescere della disponibilità di posti negli asili nido non fa sempre seguito un aumento “automatico” dell’occupazione femminile. Questa tendenza è visibile soprattutto in regioni come Emilia-Romagna e Toscana, che sugli asili nido hanno tradizionalmente impostato le loro politiche ma anche la cultura e la narrazione dei loro sistemi di protezione sociale e dunque apre un interrogativo sulla natura e consistenza del rapporto tra sistemi di welfare e sviluppo socio-economico e occupazionale, in particolare a livello locale. Un tema che dagli asili nido si potrebbe estendere ad altri ambiti, ad esempio alla formazione professionale, all’inclusione sociale, al welfare aziendale, e i dati sui nidi sono esemplificativi: secondo questi i servizi educativi sarebbero fruiti soprattutto da famiglie di livello economico medio alto.
Da qui emerge che le famiglie più bisognose rimangono ai margini dell’offerta. In buona sostanza il welfare che accetta la sfida di fare da “motore dello sviluppo” sembra stretto in una tenaglia: da una parte l’efficacia non sempre evidente dei propri interventi nell’alimentare occupazione, crescita economica, coesione sociale; dall’altra la natura selettiva dell’offerta che sembra minare un principio classico del welfare – l’universalismo – che in questa fase storica torna prepotentemente alla ribalta stante la crescita e la differenziazione dei divari in termini di esclusione ben oltre i “livelli di guardia”. E si riaffaccia il vero problema: la redistribuzione, spesso monetaria, dello Stato che tende di converso a marginalizzare interventi eccessivamente “tagliati su misura” caratterizzati, al di là dello specifico ambito di azione, da intenti di empowerment di determinate fasce di popolazione o territori. Interventi, questi ultimi, spesso garantiti in forma di servizi da parte di enti di Terzo Settore in partnership con amministrazioni pubbliche locali ed enti filantropici. La verità è che è più che mai necessario oggi che l’offerta in risposta ai propri bisogni deve essere diversificata compiendo scelte non basate sul mero godimento di diritti (e servizi) prestabiliti.
Tutto ciò può avvenire da una parte grazie a una maggiore apertura dell’offerta, superando i criteri canonici di accreditamento. Dall’altra può avere luogo a seguito di una migliore capacità di accompagnamento nella scelta, come emerge anche dal dibattito sulla riforma del reddito di cittadinanza. E’ necessario dunque differenziare l’offerta di servizi anche attraverso coalizioni di scopo tra impresa sociale e sistema finanziario che ormai da anni allarga e qualifica l’offerta di asili nido a livello nazionale. Una rete tematica che visti i dati sui nidi ricordati in apertura meriterebbe un ulteriore rilancio e investimento. Di tutto ciò si discute anche in ambito europeo e questo è un bene per tutti.
Alessandra Servidori