Le fiamme guizzavano sul tetto di Notre-Dame. E il calore del fuoco si propagava nell’aria, su su nel cielo, dalla Francia all’Europa, attraversava i mari, lambiva gli altri continenti, suscitava lacrime e dolore, sgomento e paura, entrava nei cuori e nelle menti, bruciava la scala dei valori e delle certezze. E quando il bestiale incendio è stato domato, l’immagine della croce dorata, intatta sopra all’altare maggiore, solida àncora sul mare dei detriti, potente simbolo di devozione, l’attonito stupore del mondo si è sciolto in un impeto di gioia. Come se lo scampato pericolo riguardasse l’intera umanità.
Punizione divina, apocalisse, miracolo, presagio. I pinnacoli gotici hanno trasmesso paure, credenze e speranze che sembravano relegate al medioevo, quando la costruzione delle basiliche rappresentava una sfida architettonica e religiosa per arrivare più vicini a Dio e offrirgli ospitalità in quella che sarebbe dovuta diventare la sua casa. Di colpo la razionalità dei Lumi ha lasciato il posto all’irrazionalità della superstizione. Persino la rivoluzione francese, madre della moderna democrazia e del laicismo, ha assunto di nuovo un connotato diabolico, come ai tempi della Vandea. I sanculotti osarono violare e depredare il sacro spazio. Nella sua Storia, un classico, Albert Mathiez ha scritto che il 20 brumaio del 1793, in pieno Terrore, “la Comune di Parigi celebrava a Notre-Dame, divenuta Tempio della Ragione, una grandiosa festa civica in cui figurava una mima vestita del tricolore e simboleggiante la Libertà”. Anatema!
Ora, per la ricostruzione, è stata una gara di generosità, centinaia e centinaia di milioni raccolti in poche ore. Grandi industriali del lusso, moda, profumi, champagne, petrolieri, proprietari terrieri, multinazionali, governi, sceicchi arabi, persino un reuccio africano. Un tale fiume di denaro, un’esibita generosità che ricorda i tempi delle Indulgenze, un modo per apparire e mondarsi l’anima, e magari lucrare qualche sgravio fiscale, ha però suscitato insidiosi interrogativi. Perché tanta dedizione i Signori e i Ricchi della Terra non la dimostrano anche per arginare le guerre, la fame, le carestie che, in molti casi, sono loro stessi a produrre? E perché ci emozioniamo e ci mobilitiamo tanto per l’incendio di una cattedrale e versiamo solo poche lacrime un po’ ipocrite per chi muore fuggendo dal proprio Paese? Il 2 settembre del 2015 il corpicino senza vita di Aylan, un bimbo siriano di tre anni, fu ritrovato su una spiaggia turca. La sua foto, magliettina rossa e pantaloncini blu, fece il giro del mondo ma non suscitò tanta mobilitazione come il tetto di Notre-Dame.
“Un monumento è più importante degli uomini”, ha sentenziato un insigne restauratore. Forse ha ragione, forse la pietra vale più delle ossa, del sangue, della carne. Ma allora bisogna chiedersi che cosa simboleggiano le chiese e le statue, quali valori dovrebbero rendere immortali. E se è cosi, come dimenticare che la croce significa pietà? Pietà per i poveri, i deboli, i diversi, i reietti, i bisognosi. Nel romanzo che Victor Hugo ha dedicato alla cattedrale di Parigi, e che in questi giorni tutti citano, la zingara Esmeralda e il gobbo Quasimodo sono i personaggi positivi e il tormentato arcidiacono Claude Frollo l’esecrabile antieroe. E, nel leggere i Miserabili, stiamo con l’inflessibile e implacabile ispettore Javert o con lo sfortunato e generoso evaso Jean Valjean?
Buona Pasqua e buon 25 aprile a tutti.
Marco Cianca