Non è un Paese per donne. O meglio, l’Istat rileva che su una popolazione residente di 60.589.445 persone, le femmine, 31.143.704, superano, anche se di poco, i maschi, 29.445.741. Due metà, con una parte leggermente più grande ma immensamente meno rappresentata. Il 4 marzo si è votato, l’8 è stata la giornata delle mimose, tutti a condannare la violenza contro il sesso debole (che poi è quello più forte) ma pochi a denunciare il femminicidio politico perpetrato in Italia da leader maschilisti e muscolari.
La diabolica legge elettorale, che come il mostro di Frankenstein si è rivoltata contro i suoi creatori, ha anche fallito nel dichiarato tentativo di equilibrare la differenza di genere: le elette, in un parlamento che ha il record di giovani e di nuovi ingressi, sono in leggera crescita ma non arrivano al quaranta per cento. Un esempio emblematico è quello di Francesco Boccia e Nunzia De Girolamo, coppia unita dall’amore ma divisa dalla militanza e dai risultati: lui, Pd, entra di nuovo nell’empireo, lei, Forza Italia, torna a casa, ad accudire la figlioletta alla quale dovrà spiegare perché il papà continua ad avere successo e la mamma no.
Ma se nella composizione di Camera e Senato gli uomini vincono due a uno, le donne scompaiono del tutto quando si guarda la scena del confronto post urne. Solo i maschietti danno le carte, a partire dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il grillino Luigi Di Maio e il leghista Matteo Salvini si contendono la guida del governo. Silvio Berlusconi continua a proporsi come il garante del centrodestra. A Palazzo Chigi per il momento siede ancora Paolo Gentiloni. Nel Pd la resa dei conti è tutta virile: Matteo Renzi, Graziano Del Rio, Nicola Zingaretti, Maurizio Martina, Michele Emiliano, Dario Franceschini, Andrea Orlando, Sergio Chiamparino, Carlo Calenda. La stella di Maria Elena Boschi non brilla più. Persino Debora Serracchiani, sconfitta nella sfida diretta dell’uninominale ed eletta solo grazie ai listini del proporzionale, si è dimessa dalla segreteria. Analoga musica nelle file di Liberi e Uguali con Laura Boldrini, anche lei ripescata per il rotto della cuffia, del tutto oscurata dallo scambio di accuse sulla responsabilità della sconfitta che vede protagonisti assoluti Pietro Grasso, Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani, Nicola Fratoianni.
Certo, un ruolo lo rivendica con energia Giorgia Meloni, unica leader in rosa. Ma la segretaria di Fratelli d’Italia è in realtà il classico vaso di coccio tra due vasi di ferro. Emma Bonino, pur dopo il deludente risultato della sua lista d’impronta europea, resta una riserva della Repubblica ma solitaria e residuale. Le due sindache, Virginia Raggi e Appendino, non hanno voce in capitolo.
Non c’è niente da fare, siamo un Paese per maschi.
Marco Cianca