Si è avviato un confronto tra governo e sindacati sul tema non autosufficienza. L’avvio è partito dalla questione di come utilizzare-ripartire i 400 milioni che la Legge di stabilità ha destinato per il 2016 al ricostituito Fondo per la Non Autosufficienza (FNA). Come noto tale stanziamento era stato azzerato nel 2012, per poi limitarsi a finanziamenti annuali (250 milioni nel 2015).
L’approccio è quello di un documento del Ministero del Lavoro (Direzione generale per l’inclusione e le politiche sociali) del 13 maggio dal titolo: “Il Fondo per le non autosufficienze: un Piano strategico per la definizione di livelli essenziali.” La pagina conclusiva immagina un percorso triennale che così esplicita il terzo anno (2018): “Definizione di un percorso graduale di livelli essenziali per tutte le persone con disabilità gravi e gravissime sulla base dei dati raccolti, delle risorse che si renderanno disponibili e identificando le priorità sulla base delle maggiori necessità di sostegno intensivo.”
Si proclama quindi di voler “definire livelli essenziali delle prestazioni per le persone non autosufficienti” definendo ciò “un ribaltamento di prospettiva” che sarebbe costituito dal partire dai bisogni piuttosto che dalle risorse stanziate. In realtà ci si limita a ragionare di disabilità gravissima. L’esemplificazione delle priorità elenca tra altro “persone con sordo-cecità”. Praticamente non basta che sei cieco al 90%; devi essere anche sordo.
E ancora: ci si proclama accomunati “ad altri paesi europei ed extraeuropei con consolidati sistemi di gestione della “long term care” (LTC)”, si citano “il caso ad esempio della Germania che dal 1995 identifica tre livelli di severità della dipendenza”, ma anche il “sistema AGGIR francese”. Ma col cavolo che si progetti concretamente qualcosa di similare.
Infine: il governo non parla del fenomeno badanti. Ne parla il documento di Cgil Cisl Uil (pensionati e confederazioni) dell’11 luglio come segue: “Lo stesso fenomeno del “badantato” segnala una risposta spontanea e autogestita dalle famiglie, che ha permesso di fronteggiare la domanda di assistenza altrimenti inevasa, anche se spesso in condizioni di precarietà e irregolarità. I pur lodevoli tentativi più recenti di regolare il fenomeno (nell’interesse dei cittadini e delle lavoratrici) intrapresi da amministrazioni regionali e comunali, come è evidente non hanno compensato la mancanza di un livello di intervento nazionale.”
Come è ben evidente siamo ben lontani dal considerare che il fenomeno “badantato” sia diventato strutturale al welfare italiano e che, quindi, sia necessario riconoscerlo come tale; non affidare solo a Comuni e Regioni l’argomento, ma farne tema centrale di azione sindacale che riguarda oltre un milione di lavoratrici soprattutto immigrate e altrettanti datori di lavoro in parte grande lavoratori (o pensionati) essi stessi magari iscritti a Cgil Cisl Uil.
La nostra Associazione ha chiesto di partecipare alle future occasioni di confronto.