Nei giorni scorsi ho ricevuto la seguente comunicazione dall’Ordine dei Giornalisti della mia regione:
“Questa comunicazione è rivolta ai colleghi che non hanno ancora comunicato all’Ordine il loro indirizzo di Posta Elettronica Certificata (PEC). La mancata comunicazione ha come conseguenza la sospensione dall’Albo, in base a quanto previsto da una legge approvata nel 2020 che riguarda tutti gli ordini professionali”. Sono iscritto all’Ordine come pubblicista dal 1996. Come Dio vuole ho cercato di adempiere, poiché non sono un no PEC, ma semplicemente un anziano in imbarazzo nei confronti della tecnologia (in questo caso mi pare che si debba dire “digitalizzazione” o no?). Non ho potuto evitare qualche considerazione con me stesso nell’ambito dell’acceso dibattito sul green pass. E mi sono detto: “Evidentemente vi sono certificazioni figlie di un Dio minore, meno uguali delle altre che non sollevano proteste né inducono a ribellarsi contro le lesioni della libertà individuale. Capisco bene che la vaccinazione attiene – nel bene o nel male – alla salute della persona e che sottoporsi ad essa chiama in causa valori, dubbi, superstizioni, leggende metropolitane ben più rilevanti dello scaricare o meno una PEC. Ma di grazia, sono legittimato a chiedermi i motivi per i quali io debba procurarmi – pena la sospensione dall’Ordine – uno strumento informatico a me pressoché sconosciuto? Se uno dei miei nipotini mi chiedesse che cosa è una PEC e a cosa serve (a loro i genitori raccomandano sempre di chiedere spiegazioni al nonno per le cose che non conoscono) gli risponderei molto vagamente, facendogli capire che farebbe meglio non insistere, altrimenti gli verrebbe a mancare la fiducia nella sapienza del nonno. Se capisco bene, poi, la sospensione dall’Ordine non sarebbe senza conseguenze per un giornalista che, svolgendo questo mestiere, mantiene sé stesso e la famiglia. Non sono in grado di capire perché l’adozione della PEC sia una sorta di obbligo per tutti i professionisti, in forza della citata legge del 2020. Ci sarà indubbiamente – a giustificare un obbligo sanzionato – un qualche interesse generale al buon funzionamento delle attività professionali nel rapporto con le amministrazioni pubbliche. Ma il green pass e i tamponi non dovrebbero svolgere anch’essi fini di utilità sociale in quanto certificazione dell’adempimento del dovere di concorrere alla salvaguardia della salute pubblica?
Giuliano Cazzola