Si riaccende la polemica sulla prosecuzione del concordato preventivo al fine di incamerare da parte dello Stato risorse che altrove non si trovano. Con il paradosso di voler ridurre il peso fiscale specialmente sui ceti medi, favorendo coloro che in base a studi recenti già appaiono come “modesti” contribuenti.
I concordati sono da sempre una svista lessicale, in realtà sono condoni mascherati. Hanno tutti un difetto comune: pochi controlli, testimoniati dai dati che ormai si collocano su percentuali abbondantemente inferiori al 5%, oltre al fatto che divengono una sorta di cambiale in bianco per coloro che possono usufruirne nel tempo.
Ed in tal modo si perde di vista uno degli obiettivi fondamentali: quello di sostenere un welfare che è già gravato di problemi sempre più impegnativi con una sanità pubblica da rifondare ed un aumento della terza età sempre più accentuato. Secondo l’osservatorio di Itinerari previdenziali sono circa 10 milioni gli italiani che ogni anno si caricano sulle spalle gran parte degli oneri derivanti dal sistema sanitario e assistenziale. Ed ancora si osserva che il 40% della popolazione italiana si carica oltre il 90% delle imposte ed il restante versa solo l’8% dell’Irpef.
Come risponde il nostro sistema fiscale a queste problematiche? Procedendo a zig-zag e di conseguenza i governi passati e quello attuale finiscono per smembrare di una sua ragione d’essere univoca e chiara l’impalcatura del fisco, in un contesto nel quale la giustificazione è sempre la stessa, essere in clima di emergenza. Un fisco che assomiglia sempre di più ad un Arlecchino con, nella realtà, due distinti indirizzi fiscali e con quello destinato al lavoro dipendente e pensionati svantaggiato rispetto a quello previsto per il lavoro autonomo. I concordati non fanno altro che peggiorare questo stato di cose e rendono ancor più insignificante il riferimento costituzionale alla progressività. In realtà occorrerebbe tornare ad una visione dei problemi meglio collegata alla esigenza di procedere con riforme profonde e strutturali. Solo all’indomani di una riforma complessiva del fisco si potrebbe, senza scandalo, prevedere un condono che sia però definitivo ed al tempo stesso non più ripetibile. Inframezzare il cammino del fisco italiano di concordati e di interventi che ne disperdono la necessaria univocità vuol dire solo accrescere l’iniquità dello stesso a svantaggio di chi crea ricchezza, i lavoratori, e di chi ha più problemi come gli anziani.
La ricerca di risorse da parte del Governo non può risolversi in nuovi privilegi, questo è il punto. A questa strada sbagliata si dovrebbe rispondere da parte della opposizione politica non solo con dei inevitabili “no” ma anche con un piano di riorganizzazione della fiscalità improntato a vera equità. Non mancano le idee e le scelte da fare ma vanno portate ad un dibattito meno fumoso e contingente di quello che oggi viaggia attraverso la polemica quotidiana. Serve recuperare un vero spirito riformatore. Altrimenti assisteremo ad una scomposizione ulteriore del sistema fiscale, vedi la partita delle detrazioni e delle deduzioni, che difficilmente eviterà il rischio di nuove diseguaglianze.
Si è certo consapevoli delle ristrettezze di bilancio, ma agire per rendere ancora più diseguale il contributo che, per la Costituzione, il cittadino deve dare secondo le sue possibilità è l’opposto di quel che serve per guardare al futuro che ci aspetta, privilegiando invece una navigazione a vista con il conservare in modo assai discutibile consensi elettorali.
Lo stesso discorso di potrebbe fare per il Welfare. Trarre una lezione da questo “arrangiarsi” politicamente non è facile a quanto pare anche per la mancanza sostanziale di un confronto vero e costruttivo fra le diverse parti in causa. Non è possibile escludere le forze sociali immaginandole solo dei notai a fronte di una autosufficienza politica che crea disordine ed ingiustizie. Non è possibile perpetuare il muro contro muro politico quando si tratta di dotare il Paese di architravi per il suo sviluppo in una fase dell’economia mondiale fra le più difficili.
Ritornare al confronto vorrebbe dire anche eliminare alibi che esistono e non fanno progredire. Ricorrere ai concordati, del resto, cosa vuol dire se non perpetuare un alibi che evita di affrontare i problemi per quello che sono?
Paolo Pirani – Consigliere CNEL