La moglie, in proprio e quale genitrice esercente la potestà sui figli minori, ha convenuto avanti il tribunale di Roma l’Inail perché fosse condannata a corrisponderle la rendita dovuta ai superstiti e l’assegno una tantum spettantele a causa della morte del proprio coniuge, avvenuto in conseguenza di un incidente stradale di cui era rimasto vittima. A fondamento della domanda di corresponsione dell’assegno, la moglie ha sostenuto che il decesso del marito era avvenuto nell’espletamento dei suoi obblighi lavorativi: era andato a prendere e riaccompagnare a casa, a conclusione, della serata lavorativa, un collega di lavoro (barman impiegato presso il locale ove si svolgeva attività di bar e pub e dove il marito prestava la propria attività) perché privo di mezzo di trasporto proprio. È stato giudizialmente accertato che l’incidente si era verificato lungo una strada provinciale che il marito stava percorrendo per far ritorno alla propria abitazione, dopo aver lasciato a casa il suo collega barman: l’autovettura aveva urtato violentemente il terminale d’acciaio del guard-rail che era penetrato all’interno dell’abitacolo colpendolo mortalmente.
Per la moglie, l’infortunio era da ritenersi come avvenuto a causa dell’espletamento dell’attività lavorativa giacché il marito era stato incaricato dal datore di lavoro di accompagnare il collega di lavoro presso la propria abitazione Questa condotta del marito-lavoratore non era frutto di una scelta volontaria diretta a soddisfare esigenze personali deceduto ma costituiva l’adempimento di una attività occasionalmente affidatagli dal datore di lavoro. Il tribunale ha accolto la domanda della moglie mentre la Corte di Appello l’ha rigettata perché ha ritenuto che l’incidente si fosse verificato non lungo il tragitto normale lavoro- casa ma in un luogo in cui il lavoratore non aveva motivo di trovarsi.
La moglie ha fatto ricorso in Cassazione contro la sentenza della Corte di appello.
La Corte di Cassazione ha, preliminarmente, evidenziato che la circostanza della percorrenza della strada su incarico del datore di lavoro costituiva una questione in fatto non ricorribile in Cassazione. E, quindi, non esaminabile dalla Corte. Il fatto restava fissato in modo definitivo così come accertato dalla Corte di Appello e dallo stesso Tribunale senza possibili interventi correttivi della Cassazione.
La Cassazione ha evidenziato che il fatto era stato così ricostruito definitivamente dai giudici di merito: “la deviazione del percorso è stata determinata dalla decisione del C. di andare a prendere e riaccompagnare a casa, a conclusione della serata, il barman B. , il quale aveva fatto presente che, a causa di un guasto alla propria autovettura, non avrebbe potuto recarsi al lavoro per la serata del (omissis) ; dunque, poiché nelle ore notturne nei pressi del locale non vi erano mezzi pubblici, il C. decise di prendere e riaccompagnare il barman per garantire la sua presenza durante la serata inaugurale del locale. (…) la mancata percorrenza dell’iter normale per raggiungere la propria abitazione dal lavoro (…) è stata il frutto di una scelta nell’ambito di una pluralità di alternative possibili (…)”.
Esaminando in diritto le questioni relative all’infortunio in itinere, la Cassazione ha affermato che “Questa Corte di legittimità ha reiteratamente affermato che il D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2 copre tutti i casi di infortunio avvenuto per causa violenta “in occasione di lavoro” che cagionino un’inabilità al lavoro superiore a tre giorni, rientrando nella nozione di occasione di lavoro tutti i fatti, anche straordinari ed imprevedibili, inerenti all’ambiente, alle macchine, alle persone, al comportamento colposo dello stesso lavoratore, ivi compresi gli spostamenti spaziali funzionali allo svolgimento della prestazione; con l’avvertenza che, sotto quest’ultimo aspetto, per quanto qui di particolare interesse, devono ritenersi protette “non solo le attività manuali tipiche ma anche quelle preparatorie, accessorie o connesse, purché indispensabili alla prestazione lavorativa” (Cass. n. 12549/18), con l’unico limite del rischio elettivo, inteso come tutto ciò che sia estraneo e non riguardante l’attività lavorativa e dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore (Cass. n. 17917/2017). Nel caso di specie si è accertato che l’evento fu frutto di un arbitrario aggravamento del rischio determinato dalla condotta del lavoratore per cui non vi è spazio per l’applicazione dei principi espressi da questa Corte di legittimità, secondo i quali (vd. Cass. n. 13314 del 2018) l’occasione di lavoro deve essere intesa in senso funzionale, nel senso che essa può ricorrere anche in caso di mancanza delle particolari condizioni previste dal D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 12 per potersi configurare un’ipotesi di infortunio in itinere (in senso stretto), non potendosi escludere l’occasione di lavoro, sulla base della disciplina generale dettata dall’art. 2 cit., tutte le volte che debbano ritenersi assicurate anche altre ipotesi di infortunio “sulle vie del lavoro”, come ad es. per chi si reca sulla strada in un percorso che collega la sede di lavoro ad un altro luogo per motivi di lavoro. Neppure rileva, … che certamente l’incidente si verificò lungo la strada provinciale (…) (denominata (omissis) che il C. stava percorrendo per far ritorno alla propria abitazione dopo aver lasciato a casa propria, in (…), il barman B. e, dunque, non lungo il tragitto normale lavoro-casa. Si tratta cioè di una condotta che spezza il nesso causale e funzionale con l’attività lavorativa (vd. Cass. n. 20221 del 2010; 18786 del 2014) dovendosi riaffermare il principio secondo il quale in tema di infortunio “in itinere”, indipendentemente dall’applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2, comma 3, (aggiunto dal D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 12), per rischio elettivo, che esclude la cosiddetta “occasione di lavoro”, si intende una condotta personalissima del lavoratore, avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa o ad essa riconducibile, esercitata ed intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, al di fuori dell’attività lavorativa a prescindere da essa, idonea ad interrompere il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata. Ne consegue che seppure è vero che l’infortunio che sia occorso al lavoratore nel tragitto prescelto per raggiungere il posto di lavoro non è escluso dalla copertura assicurativa per il solo fatto che non fosse il “più breve”, si deve pur sempre verificare la “normalità” della percorrenza dell’itinerario seguito e la sua non riconducibilità, come è avvenuto nel caso di specie, a ragioni personali, estranee all’attività lavorativa”. Cass. civ., sez. lav., sent., 3 agosto 2021, n. 22180.
Ogni domanda della moglie e dei figli del lavoratore deceduto diretta ad ottenere il riconoscimento dell’infortunio in itinere con la sentenza della Cassazione è sfumata in modo definitivo.
Avv. Biagio Cartillone