Il Job Act è morto. A ucciderlo non è stato il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Luigi Di Maio, che pure ha affermato che votarlo è stato opera di assassini politici, ma la Consulta. La Corte costituzionale ha infatti deciso che il sistema indicato dal Job Act per stabilire il risarcimento in caso di licenziamento non è consono con i principi della Carta. Questo il colpo finale che ha annullato nei fatti la riforma del lavoro voluta da Matteo Renzi.
Parliamo di fine di questa esperienza perché il Jobs Act si basava su due elementi cardine: da un lato la certezza del costo del licenziamento, dall’altro l’assicurazione che chi perdeva il lavoro non sarebbe stato lasciato solo, al contrario gli sarebbe stata offerta un’altra possibilità di lavoro. Il primo interessava alle imprese, il secondo era nato per aiutare i lavoratori. Era il classico “win win”, vincevano tutti, tutti erano contenti. Ma questa costruzione, che sembrava perfetta, è caduta rovinosamente.
Il secondo elemento in realtà non è mai nato. La promessa che nessuno sarebbe stato lasciato solo nel momento di bisogno non è mai stata onorata perché non è stato possibile comporre le misure atte a rendere concreto quell’aiuto. Le politiche attive del lavoro non sono diventate realtà perché l’Anpal, l’agenzia che doveva realizzare l’aiuto, non ha mai avuto i poteri per assolvere il suo dovere. Tutto era, infatti, costruito sul passaggio alle autorità statali dei poteri delle regioni per la formazione e la gestione del mercato del lavoro. Ma la legge che avrebbe sancito questo passaggio non ha mai operato, perché il referendum costituzionale del dicembre 2016 ha bloccato gli effetti del provvedimento. Gli italiani, chiamati a votare, hanno risposto negativamente. Di conseguenza l’Anpal è rimasta al palo, ha poi cercato in tutti i modi di attuare forme di politica attiva del lavoro, ma con risultati per forza di cose scarsi.
L’altro pilastro su cui si basava il Job Act era appunto la predeterminazione del costo del licenziamento. Tanti anni avevi di anzianità, tanto dovevi ricevere come indennizzo. L’imprenditore si faceva i suoi conti, se gli conveniva pagava, altrimenti si teneva il lavoratore anche senza la necessaria armonia. Giusto o sbagliato, la cosa più importante era la certezza del costo. Ma la Consulta ha detto che questo sistema non va bene, è necessario tenere conto anche di altri parametri: non ha detto quali, si presume i carichi di famiglia, le dimensioni dell’azienda, l’andamento del mercato del lavoro locale e così via.
Cosa ne deriverà? Che crescerà il ricorso alla magistratura, chiamata a decidere l’entità del risarcimento, e questo non è mai un bene, non solo per i costi degli avvocati, ma perché l’incertezza è giustamente temuta dagli imprenditori che di conseguenza vedranno calare la voglia di intraprendere. E’ già tanto difficile farlo che una spinta a non iniziare nemmeno era l’ultima cosa che si poteva paventare.
Il governo intanto esulta per la decisione della Corte e si prepara a fare anche qualcosa in più. In realtà con il decreto dignità l’esecutivo non aveva modificato il regime delle cosiddette “tutele crescenti”, ma si era limitato a far crescere del 50% le cifre minime e massime del risarcimento. Diciamo che la Corte è andata più in là, bisognerà leggere adesso la sentenza per capirci di più. Ma il governo, sempre con il decreto dignità, aveva dato un altro forte colpo alla riforma di Renzi, attaccando e stravolgendo i contratti a tempo determinato. Avere introdotto la necessità di indicare le causali di questi contratti dopo i primi dodici mesi ha infatti portato, ormai è evidente, al rallentamento della nascita di questi contratti e al loro snaturamento. Perché, appunto per evitare l’obbligo della causale, i contratti tenderanno a durare solo dodici mesi, un tempo quindi inferiore a quello che serve per una vera formazione; ulteriore conseguenza, si finirà per non formare i lavoratori con contratto a termine, a tutto danno dell’occupazione e della qualità dell’occupazione. Quel decreto, che doveva combattere la precarietà, finirà per aumentarla pericolosamente.
Insomma, col Jobs Act smontato pezzo dopo pezzo, siamo tornati alla situazione di qualche anno fa? Meglio, peggio? Difficile dare una risposta che non sia di parte. A difesa del Job Act c’è da dire che, come che sia, in questi ultimi anni l’occupazione ha recuperato il milione di posti di lavoro che erano stati persi con la crisi e anche qualcosa in più. L’effetto positivo sull’occupazione, che era quello che il governo Renzi cercava, c’è stato, è indubitabile. Mentre il governo del cambiamento ha fatto fare al paese un passo indietro. Forse non è proprio una cosa positiva. Specie se si pensa che le persone si realizzano perché hanno un lavoro e lo sanno fare bene, non perché lo Stato gli regala un reddito come che sia, a prescindere da tutto.
Contrattazione
Questa settimana è stato rinnovato il contratto nazionale lapidei-escavazione. L’intesa riguarda la parte economica, dove l’aumento medio a regime sarà di 98 euro in tre tranche. La sanità integrativa metterà a disposizione dei lavoratori il Piano Sanitario standard. Migliorata anche la base di calcolo per la contribuzione per la previdenza complementare. Nel settore del commercio al dettaglio, la catena di abbigliamento H&M ha sottoscritto con i sindacati di categoria il primo accordo integrativo aziendale che interessa 5.000 dipendenti. L’accordo prevede la gestione condivisa a livello decentrato dell’organizzazione del lavoro, condizioni di miglior favore in ordine a part-time post maternità, congedo per formazione, congedo per il lavoratore padre; aspettativa e anticipo Tfr. Dopo 10 mesi di trattative è stato rinnovato l’accordo integrativo in Barilla. L’intesa prevede un premio variabile di 10.800 € sul quadriennio che a regime porterà ad un aumento dell’11% rispetto a quanto previsto dall’ultimo contratto integrativo. Spazio anche al ricambio generazionale e alla valorizzazione delle competenze attraverso un percorso di analisi da effettuarsi sui singoli siti per dare avvio a una fase sperimentale di staffetta generazionale, anche nell’ottica dell’adeguamento del lavoro alle nuove tecnologie.
Analisi
Marco Cianca fa il punto sulle scelte del ministro dell’economia Giovanni Tria facendo un parallelo con Einaudi. Tria, osserva Cianca, rivendicando di aver giurato nell’interesse della nazione, ribadisce il principio di autonomia e indipendenza per i responsabili dei conti pubblici. Uno spirito analogo, afferma, a quello con cui Luigi Einaudi, nel 1945, invocava “freni al prepotere dei ceti politici”. Alessandra Servidori riporta i dati sui lavoratori in malattia, sfatando un mito dannoso per i dipendenti della pubblica amministrazione: ci si ammala di più alle dipendenze dei privati che nel pubblico, e tra i dipendenti dello stato addirittura sono meno frequenti i casi di non congruenza nella previsione prognostica. Nel secondo trimestre dell’anno 2018 si registra un incremento del numero dei certificati rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente per il settore privato (+3,9%), mentre si verifica una diminuzione per il settore pubblico (-2,2%). Fernando Liuzzi ha seguito la 147° edizione dell’indagine congiunturale trimestrale di Federmeccanica. L’associazione ha presentato, nell’occasione, un proprio ‘’manifesto’’ in cinque punti per rafforzare le imprese metalmeccaniche e superare l’attuale rallentamento del settore. Maurizio Ricci commenta le proposte economiche del governo giallo-verde. Secondo Ricci la democrazia si basa sulla separazione dei poteri, ma Di Maio-Salvini sembrano non averlo chiaro e vorrebbero piegare tecnici e authority ai loro voleri. Il rischio è finire come la Grecia nel 2009.
La nota
Nunzia Penelope riporta le dichiarazioni preliminari al Def del ministro dell’economia, Giovanni Tria (‘’ho giurato nell’interesse della nazione, non di altri’’), per arrivare a quelle che sono state invece le reali conclusioni del consiglio dei ministri, con la sconfitta del titolare di Via XX Settembre e lo sfondamento del deficit al 2,4. Ancora Penelope analizza la manovra gialloverde, i cui contenuti non solo mettono a rischio la tenuta dell’Italia, ma caricano sulle spalle delle prossime generazioni un ulteriore debito da 100 miliardi.
Interviste
Tommaso Nutarelli ha intervistato Giovanni Mondini, presidente di Confindustria Genova, per conoscere la sua opinione a proposito del decreto sul Ponte Morandi e sul congelamento del Terzo Valico.
Il guardiano del faro
Marco Cianca riporta le pericolose proposte dell’ideologo di Donald Trump, Stephen Bannon apparentemente allontanato dalla Casa Bianca. Bannon ha lanciato The Movement un’internazionale della destra nazionalista, xenofoba, suprematista in Europa.
Il blog del diario
Giuliano Cazzola riflette sulla vicenda legata alla diffusione del file audio di Rocco Casalino e ammonisce i suoi, gli oppositori del governo giallo-verde: “Smettiamo di chiamare sfascisti i nostri implacabili nemici, facendo cadere la pudica ‘s’”…”
Massimo Fiaschi analizza lo stato di salute del welfare state italiano, compresso da diversi fattori negli ultimi anni.
Tommaso Nutarelli interviene sul tema del reddito di cittadinanza: un cavallo di battaglia dei Cinque Stelle, che potrebbe però rivelarsi un cavallo di Troia per abbattere la credibilità politica del partito di maggioranza.
Diario della crisi
Questa settimana, Unicoop Tirreno ha chiuso 8 punti vendita del Sud del Lazio precisamente quelli di Pomezia, Fiuggi, Velletri, Aprilia, Genzano, Colleferro e Frosinone, nei quali sono occupati complessivamente circa 270 dipendenti. I sindacati di categoria hanno proclamato lo sciopero. Nella grande distribuzione organizzata, hanno incrociato le braccia anche i lavoratori del Simply Sma per non aver ricevuto risposte sulla crisi aziendale. I sindacati di categoria Filcams Fisascat e Uiltucs hanno proclamato un pacchetto di 8 ore di sciopero contro l’indisposizione della direzione aziendale che avrebbe rifiutato ogni richiesta di contrattazione con le parti sociali sull’annunciata razionalizzazione della rete vendita. Il ministero degli Affari Esteri francese ha bocciato l’accordo siglato nel maggio 2017 tra la Flc Cgil e l’Istituto Francese d’Italia, mirato a sanare una serie di anomalie tra i lavoratori, come disparità salariali e differenti condizioni di trattamento tra i lavoratori a parità di tempo impiegato. Anche qui, è stato proclamato lo sciopero dei lavoratori dell’Institut Francais. Nel settore dei trasporti, continuano le proteste dei dipendenti di Ryanair. L’agitazione del personale di bordo che rivendicano migliori condizioni di lavoro, ha riguardato le basi di Italia, Germania, Olanda, Portogallo, Belgio e Spagna e ha provocato l’annullamento di 250 voli in tutta Europa. Nel comparto dell’acciaio, Fim, Fiom e Uilm hanno proclamato uno stop di 4 ore per i lavoratori Bekaert di Figline e Incisa Valdarno in attesa di vedere “nero su bianco” la reintroduzione della cassa integrazione in deroga per cessazione di attività.
Documentazione
Nella sezione dedicata è possibile trovare i dati Istat sui prezzi della produzione dell’industria, delle costruzioni e dei servizi di agosto, i dati sulla fiducia dei consumatori e delle imprese di settembre, i dati sul commercio extra Ue di agosto e il report su innovazione nelle imprese degli anni 2014-2016. Inoltre. È possibile trovare il testo del decreto sicurezza e immigrazione, la proposta di Fiom, Fim e Uilm sugli ammortizzatori sociali e la nota del Centro Studi Confindustria su industria 4.0.