Alla fine, ce l’hanno fatta. L’accordo Confindustria-sindacati sulle relazioni industriali e la riforma dei contratti ha visto la luce, dopo anni di trattative stop and go, la notte di martedì 28 gennaio. A spingere per un accordo e’ stata, soprattutto, l’incertezza di quello che verrà dopo le elezioni di marzo. E dunque assume un significato politico da non sottovalutare. Nel documento non ci sono novità rivoluzionarie; c’e’, però, innanzi tutto, una visione lucida del paese, dei suoi problemi, e delle strade da seguire per risolverli. In sostanza, l’accordo focalizza ciò che occorre per consolidare la crescita e sostenere lo sviluppo. Confindustria e sindacati affermano che scopo dell’intesa e’ ‘’contribuire alla crescita del paese, al miglioramento della competitività delle imprese, all’occupabilità dei lavoratori, alla creazione di posti di lavoro qualificati’’; che e’ “importante lavorare insieme per consolidare lo sviluppo del sistema economico e sociale”; osservano che serve la crescita della produttività, certo, ma anche quella dei salari.
Nelle 16 pagine e 6 capitoli del documento, Confindustria e sindacati ribadiscono, come condizione preliminare, “l`autonomia delle parti sociali”: tutta l’intesa e’, in sostanza, un paletto in vista di possibili invasioni di campo post elettorali. Un eventuale governo grillino o di destra, e’ il timore, potrebbe decidere di legificare anche su materie di competenza dei sindacati e delle imprese, come appunto i contratti. Parlano da se’ le proposte sul reddito di cittadinanza, sul salario minimo, eccetera. Di qui, l’accelerazione della trattativa che sembrava ormai impantanata.
Per quanto riguarda la riforma della contrattazione, l’accordo conferma i due livelli, nazionale e aziendale o territoriale, definendo un nuovo meccanismo, piuttosto complesso, per gli aumenti salariali, che consentirà di superare la semplice difesa del potere d’acquisto. Viene previsto che i contratti individuino il Tec (trattamento economico complessivo) e il Tem (trattamento economico minimo). Il primo comprende, oltre al Tem, tutti i trattamenti economici comuni per tutti i lavoratori impiegati nei diversi settori, comprese le forme di welfare come previdenza complementare e assistenza sanitaria, e le eventuali quote di produttività erogate a livello nazionale.
Il Tem, invece, secondo la prassi già esistente nei diversi contratti, costituisce il minimo tabellare che verrà rivalutato sulla base delle variazioni dell`Ipca. Di conseguenza, il valore economico complessivo del contratto, in seguito a questa intesa, sarà costituito dalla somma tra il Tem e gli ulteriori elementi retributivi previsti dal contratto: si supera così la mera difesa del potere di acquisto per andare verso l`aumento del potere di spesa dei lavoratori.
Il tutto sara’ basato, però, su una ‘’governance flessibile’’, cioè la possibilità, per le varie categorie dell’industria, di continuare a regolarsi come meglio credono: esattamente come nel corso dell’ultima stagione di contratti, che si e’ svolta in assenza di regole condivise. In altre parole, come si legge nel documento, un modello ‘’in grado di assicurare coerenza di sistema, pur nel rispetto delle differenti peculiarità che connotano i settori, i territori e le aziende dove la contrattazione collettiva di Confindustria si esercita’’. Ovvero, tutti potranno continuare a scegliere il modello contrattuale preferito, ma all’interno di una cornice, diciamo, comune.
Nuove regole anche per il welfare contrattuale, oggi assai di moda. L’accordo punta a salvaguardarne innanzi tutto il carattere universale, precisando che il welfare contrattuale dovra’ essere integrativo e non sostitutivo, evitando la deriva verso orge di buoni benzina, abbonamenti a palestre e simili, e indirizzandosi invece su bisogni primari come previdenza o sanità integrativa. Novità e’ anche il via libera alla rappresentanza datoriale. Confindustria, in sostanza, accetta di farsi pesare sulla bilancia del “chi rappresenta chi”, cosi come da tempo hanno fatto Cgil, Cisl e Uil con il testo unico sulla rappresentanza. Obiettivo dichiarato e’ la fine dei contratti pirata, oggi sottoscritti da miriadi di associazioni di dubbio peso, nate al solo scopo di svolgere un effetto dumping rispetto ai contratti nazionali regolari.
Una parte significativa e’ sulla formazione, elemento chiave per affrontare le trasformazioni di Industria 4.0: l’accordo prevede un ruolo aumentato per Fondimpresa, l’associazione bilaterale sindacati-Confindustria, che dovrà avviare sul tema il confronto col nuovo governo al fine di attivare un grande piano formativo, per accrescere le competenze di chi è attualmente al lavoro e ridurre gli effetti che l`introduzione di tecnologie innovative potrebbero avere sull`occupazione.
Infine, il documento prevede l’apertura a forme ‘’sperimentali’’ di partecipazione ‘’piu’ efficaci e incisive rispetto al passato, con particolare riferimento agli aspetti di natura organizzativa’’. Confindustria e Cgil, Cisl e Uil considerano ‘’un’opportunita’’ anche la valorizzazione di ‘’forme di partecipazione nei processi di definizione degli indirizzi strategici dell’impresa’’.
Nunzia Penelope