Un dipendente, assunto con mansioni di autista, in data successiva all’entrata in vigore del decreto legislativo numero 23 del 2015 (Jobs Act), all’esito di una contestazione disciplinare, aveva chiesto di essere sentito nuovamente a propria difesa. L’azienda, però, non lo convocava e gli comunicava immediatamente il licenziamento.
Il lavoratore ha impugnato il provvedimento disciplinare sostenendo, a sua difesa, la nullità del licenziamento per essere stato adottato violando le norme imperative dell’articolo 7 dello statuto dei lavoratori. In particolare, lamentava di non essere stato nuovamente sentito per presentare oralmente le sue giustificazioni e lamentava altresì che il provvedimento fosse stato adottato in assenza dell’istituzione del consiglio di disciplina prevista per l’ente.
La Corte di Appello, accogliendo il ricorso del lavoratore, ha dichiarato la nullità del procedimento disciplinare e della conseguente sanzione del licenziamento disciplinare ma ha escluso che il lavoratore avesse diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro perché la nullità che viziava l’atto, per legge, non risultava espressa bensì riconducibile a categorie di ordine generale. Conseguentemente la Corte d’Appello escludeva la reintegrazione nel posto di lavoro e optava solo per la tutela indennitaria.
Il lavoratore ha fatto ricorso alla Corte di cassazione che ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale perché ha ritenuto sussistente nella formulazione dell’articolo 2, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015, una violazione della legge delega ritenendo la norma, così come formulata, illogica e incoerente.
La Corte Costituzionale ha accolto il ricorso della Corte di Cassazione ed ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma affermando che “il regime del licenziamento nullo è lo stesso, sia che nella disposizione imperativa violata ricorra anche l’espressa (e testuale) sanzione della nullità, sia che ciò non sia espressamente previsto, pur rinvenendosi il carattere imperativo della prescrizione violata e comunque «salvo che la legge disponga diversamente». Occorre, però, pur sempre che la disposizione imperativa rechi, in modo espresso o no, un divieto di licenziamento al ricorrere di determinati presupposti.” (Corte costituzionale sentenza 22 febbraio 2024 n. 22.)
Dopo l’intervento della Corte Costituzionale qualsiasi tipologia di nullità prevista per legge, specifica o generica che sia, darà diritto al lavoratore, sempre e comunque, alla reintegrazione del posto di lavoro non essendo possibile operare una qualsivoglia differenziazione tra le tipologie di nullità previste in generale dal nostro ordinamento giuridico.
Biagio Cartillone