La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10084 del 16 aprile 2025, ha fornito importanti chiarimenti in tema di ammissione al passivo fallimentare dei crediti retributivi dei lavoratori, con particolare riferimento al trattamento delle ritenute previdenziali.
Il caso:
la controversia originava dall’opposizione allo stato passivo proposta da una lavoratrice avverso il Fallimento Villa Aurora S.r.l. Il Tribunale di Reggio Calabria aveva parzialmente accolto l’opposizione, ammettendo il credito della lavoratrice in via privilegiata ex art. 2751-bis n. 1 c.c. per l’importo di € 15.980,73, oltre a quanto già riconosciuto dal curatore. La curatela fallimentare proponeva ricorso per cassazione contestando, tra l’altro, l’ammissione dell’importo della quota contributiva a carico della dipendente.
I principi affermati dalla Corte.
la Suprema Corte, rigettando il ricorso della Procedura Fallimentare, ha ribadito e chiarito alcuni principi fondamentali:
- in caso di fallimento del datore di lavoro, il lavoratore non ha alcuna legittimazione attiva in relazione all’obbligazione avente ad oggetto il pagamento della contribuzione previdenziale a carico del datore.
- diversamente, per le quote di contributi a carico del lavoratore e trattenute dal datore, se non tempestivamente versate all’Inps, queste devono essere corrisposte al lavoratore stesso, con collocazione privilegiata ai sensi dell’art. 2751-bis n. 1 c.c.
- come evidenziato, il credito retributivo deve essere ammesso al passivo al netto della quota contributiva gravante sul datore e al lordo di quella gravante sul lavoratore.
La ratio della decisione.
La Corte spiega che questa distinzione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il datore di lavoro può operare la trattenuta dei contributi a carico del lavoratore solo in caso di tempestivo versamento all’ente previdenziale. In caso di intempestività, il credito retributivo del lavoratore si estende automaticamente alla quota contributiva originariamente a suo carico.
Questo meccanismo opera come una sorta di sanzione nei confronti del datore di lavoro inadempiente, che rimane obbligato in via esclusiva al pagamento dei contributi sia per la quota a proprio carico che per quella del lavoratore, senza possibilità di rivalsa.
Implicazioni pratiche.
La sentenza ha importanti risvolti pratici per curatori fallimentari e professionisti che si occupano di procedure concorsuali:
- nella verifica dei crediti da lavoro subordinato, occorre distinguere nettamente tra quota contributiva a carico del datore e quota a carico del lavoratore;
- il privilegio ex art. 2751-bis n. 1 c.c. si applica all’intero importo lordo della retribuzione, comprensivo della quota contributiva che sarebbe stata a carico del lavoratore;
- non è ammissibile alcuna decurtazione per contributi a carico del datore di lavoro, che rimangono di sua esclusiva pertinenza.
Conclusioni.
La pronuncia si inserisce in un orientamento ormai consolidato che mira a tutelare il lavoratore in caso di insolvenza del datore di lavoro, garantendo che il credito retributivo ammesso al passivo comprenda anche quella parte di contributi che, in una situazione fisiologica, sarebbe stata oggetto di trattenuta. Questo principio realizza un equo bilanciamento tra la tutela del lavoratore e le esigenze della procedura fallimentare, senza pregiudicare il corretto funzionamento del sistema previdenziale.
Ordinanza Cassazione Lavoro n. 10084 pubblicata il 16 aprile 2025
Biagio Cartillone